Bionda, bruna, rossa o mora: gli abbinamenti migliori

Con questo articolo, iniziamo una serie di appuntamenti dedicati all’abbinamento tra birre e cibo.

Un ensemble stuzzicante, spesso sottovalutato. Nell’approccio gastronomico italico, la nostra è considerata banale in abbinamento, cristallizzata nell’infausto cliché di “pizza e birra”. Sgombriamo subito il campo dai dubbi: questo abbinamento può regalare infinite emozioni gustative e, in Italia, ha precise ragioni storiche (di cui parleremo in un articolo dedicato), ma, messo così, è concettualmente scorretto. Innanzitutto, perché, come ci ha insegnato il maestro Kuaska, “non esiste la birra, ma esistono le birre”, dunque non è possibile pensare alla birra come elemento dato e immutabile, senza declinarlo in stili; e perché, traslando il ragionamento sul disco lievitato, non esiste la pizza, ma le pizze.

La fruibilità e la relazione della birra con la cucina sono numerose e dimostrate dal fatto che, tanto per raccontarne un paio, esiste un ristorante stellato di N.Y, Luksus, dove in carta ci sono solo birre e un paese, il Belgio, dove la figlia del grano e i fornelli hanno costituito una vera e propria branca della cucina, la cuisine à la biére, sostenuta anche da una grande attenzione editoriale, con diverse, interessantissime pubblicazioni.

E’ proprio il numero sterminato di stili che dà alla birra un vantaggio competitivo inarrivabile: le sue numerose tipologie stilistiche le permettono un’ampia disponibilità nel dialogo col cibo. Non solo. Anche nelle cangianti condizioni della bevuta quotidiana riesce più di qualsiasi altra bevanda ad essere adattabile ai momenti: con una birra possiamo applicarci all’ english breakfast così come dissetarci sotto l’ombrellone, accompagnare la fumata di una pipa o così come un dopocena di riflessioni. La chiave è qui, nella versatilità. Generalizzando, potremmo dire che la birra ha maggiore capacità di abbinarsi, ma che il vino riesce più spesso a conquistare il ricordo grazie ad intensità, accoglienza, sentimento. Sintetizzando all’osso, la birra ha più occasioni, il vino più emozioni.

I principi della tecnica d’abbinamento sono gli stessi del vino, ciò che cambia sono gli elementi di valutazione.

Naturalmente, ci sono più birre che possono stare bene con lo stesso cibo, dipende da cosa si vuole esaltare o smorzare: considerando i fattori gustativi della portata e della bevanda, una volta che l’accostamento è stato eseguito in maniera tecnicamente attenta, l’unico fattore è il piacere, una delle migliori guide l’istinto. L’abbinamento deve soddisfare, intrigare, incuriosire verso possibili sperimentazioni.

Scendendo nel dettaglio, si può proporre una pils con del salame Milano, che ha grana fina: il grasso non eccessivo, infatti, è essenziale per una birra con scarsi corpo e acidità; l’anidride carbonica presente funge da sgrassante, il luppolo da asciugante: può funzionare davvero come una coppia di fatto tra chi “sporca” la bocca e chi la “ripulisce”, fino a che non vi accorgerete di essere ubriachi. Se il salame è danese, una lager chiara della Franconia, col suo tocco leggermente affumicato, farà da perfetto pendant.

Con la tripel alziamo l’asticella gastronomica. Proveniente dalla migliore tradizione trappista, è una birra che mette d’accordo in molti: con note ammandorlate e fruttate al naso, in bocca riesce a rendere la complessità gustolfattiva e il tenore alcolico mediamente alto (8%) un fattore, distinguendosi per bevibilità ed eleganza, delicata e femminile nel suo modo di avvolgere il palato e conquistarlo. Cucinatele sgombro in padella o quaglia con asparagi. Per gli incontentabili del gusto, spalmate del brie attorno ad un grissino, avvolgendo il tutto con del prosciutto Bayonne.

Nella prossima puntata, ci dedicheremo ai dolci di Natale.

 

 

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