L’Etna di Salvo Foti: l’antica convivenza tra territorio, vitigno e uomo

c’era l’anima mia che è contadina;
un’isola d’aratro e di frumento
senza vele, senza pescatori,
il sudore e la terra erano argento
il vino e l’olio erano i miei ori.

Salvo Foti - Francesca Mordacchini Alfani CZ
Salvo Foti

Così canta l’Odysseus di Guccini, re contadino costretto a prendere il mare. Un’anima terragna, bracciante e silenziosa, che riconosce nella terra e nei suoi frutti i beni più preziosi, una figura vissuta su un’isola petrosa e scura, persa nel mare.  La Sicilia: altra isola, altre terre nere, caliginose, tumultuose che guardano il mare dall’alto della Montagna di fuoco, l’Etna. Altra anima contadina che diversamente da Odisseo ha deciso di restare e di valorizzare questi luoghi fertili e impervi: Salvo Foti, enologo, vignere, insegnante.  Capelli di cenere, sguardo senza confini e senza tempo, incontriamo Salvo in contrada Caselle, nel comune di Milo sul versante est dell’Etna, nella terra del  Carricante.

I  grappoli dorati di questo vitigno autoctono  che solo qui ha trovato il suo habitat ideale, pendono dai loro centenari alberelli e respirano l’aria finissima degli oltre 900 m s.l.m.  insieme ai noccioli, ai castagni, ai cerri, alle betulle  e alle ginestre.  RAF_9255Con un accurato lavoro sono stati alzati muri a crudu, (a secco) di nere pietre laviche per contenere i custeri, le terrazze recuperate alla vite: “Abbiamo lavorato in 20 persone per 50 giorni per sistemare questo terrazzo” ci dice Salvo con la dolce musicalità dell’ inflessione siciliana mentre saliamo verso il punto più alto. “Qui la viticoltura c’è sempre stata. Dalle ricerche d’archivio sappiamo che a metà ‘800 il vigneto era una coltura dominante sull’Etna e interessava  più del 50% delle superfici agricole raggiungendo addirittura il 70% nelle zone più alte come Milo. Dal porto di Riposto i nostri vini raggiungevano le Americhe, la Francia, l’Italia settentrionale”. La produzione e il commercio di vino erano così importanti da istituire  un ufficio Enologico per tutelare e controllare i traffici di vini etnei. Un aspetto interessante di questa viticoltura era la gestione: tranne qualche eccezione si trattava infatti di fondi a conduzione diretta. La Riforma agraria introdotta con la Costituzione Borbonica nel 1812 aveva incentivato la nascita di una moderna  borghesia agraria in buona parte anche di origine contadina e bracciantile, che conduceva piccoli fondi vitati a livello familiare. “Le difficoltà di lavorazione, la necessità di cure, di tempo e di attenzioni che la viticultura etnea richiedeva, e ancora richiede,  avevano determinato infatti un incredibile attaccamento al proprio fondo e lo sviluppo di un’urbanizzazione residenziale. In ogni vigneto veniva costruito un complesso comprendente l’abitazione del proprietario e un palmento per la trasformazione dell’uva”.  Poi è arrivata l’esiziale fillossera, parassita che attacca la vite e  che, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 ha messo in ginocchio la viticoltura del vecchio continente.  Sull’Etna si diffonde più tardi rispetto al resto d’Italia, ma ad aggravare la situazione ci sono  altre componenti tra cui la crescita delle imposte sul vino.  “Il reimpianto dei vigneti utilizzando la vite americana come portainnesto resistente ripristinò solo in parte le superfici precedentemente vitate. Molte delle zone più basse furono occupate da agrumeti e quelle più alte furono abbandonate. Intanto nuovi vigneti cominciavano a comparire anche nella Sicilia occidentale, il costo della manodopera  aumentava e non dobbiamo dimenticare, in anni più vicini a noi, la grande emigrazione verso il nord d’Italia e l’abbandono delle campagne. A tutto questo si aggiunga l’obbligo di chiusura dei palmenti”.

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Carlo Zucchetti in primo piano, poi da sin. Claudio Burato, Brandon Tokash, Salvo Foti e Aldo Lorenzoni

Parole che disegnano l’evoluzione di un paesaggio e dei suoi abitanti, ma tracciano anche le linee delle motivazioni di un’operazione di recupero di terreni e tradizioni. È il riappropriarsi di una storia collettiva in cui il lavoro contadino viene posto al centro e gli viene ridata la dignità che merita. La figura dell’agricoltore che crede, investe, agisce, migliora e custodisce il territorio torna in primo piano: “La qualità dei vini è ormai generalmente alta e non è più il vero discrimine. Bisogna invece lavorare sui territori”.  E per amare un territorio bisogna conoscerlo, apprenderne la storia, le trasformazioni, le fragilità e le potenzialità. Soprattutto rispettarne l’idioma, la sua capacità di esprimersi. “In questo momento c’è un grande interesse verso l’enologia etnea che porta curiosità e investimenti. Ma bisogna capire la differenza tra chi vuole fare i vini dell’Etna  o sull’Etna, tra chi cerca la vera espressione territoriale e chi invece vuole imporre  il proprio modello produttivo e viene a colonizzare l’Etna”.

Camminiamo sui bordi del terrazzamento dove i pali di castagno sostengono come da tradizione le viti ad alberello in un disegno perfettamente squadrato secondo lo schema latino del quiconce. Sembrano tanti soldati ben allineati. Il termine indica un insieme consistente in quattro punti posizionati a quadrato più uno nel mezzo, come il 5 sul dado: un sistema usato per la disposizione delle piante che ne garantiva ordine, piacevolezza estetica,  facilità di conteggio ed un’attenta economia dello spazio.

Ci fermiamo a guardare queste linee che dividono il terrazzamento mentre Salvo spiega:  “Quintiliano elogiava il quiconce per la particolare caratteristica  di formare linee rette da qualsiasi parte lo si guardi dando una piacevolezza alla visione, e lo usava come metafora per indicare  come anche nel linguaggio verbale si dovrebbe conseguire la bellezza attraverso l’efficacia”. Poi si ferma e ci mostra come l’apparato radicale dell’alberello vada a una maggiore profondità giovandosi così dei minerali che si trovano agli strati più profondi. RAF_9248“I nostri vigneti sono come una popolazione dove sono rappresentati tutti gli stadi della vita di un uomo e tutte le espressioni culturali e sociali, che nel loro insieme creano una civiltà. Così nelle nostre vigne convivono le viti giovani, meno giovani e quelle vecchie e diversi vitigni e cloni. Ognuna di esse apporta qualcosa e tutti insieme partecipano a creare un vino tipico e unico”. Unicità data anche dai terreni formati e rimescolati dalle tante colate laviche. E poi c’è l’acqua, elemento che qui non manca. Milo sembra addirittura derivare il proprio nome da un termine saraceno che sta proprio a  indicare  abbondanza di acqua.

Salvo Foti e Carlo Zucchetti
Salvo Foti e Carlo Zucchetti

“Come è iniziato il tuo studio sulla viticoltura etnea?” chiede Carlo mentre entriamo nel palmento.

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Salvo Foti con Carlo Zucchetti e la Tuscia del Vino

 “È iniziato nell’88-89 con Benanti. All’epoca tutti si orientavano verso i vitigni migliorativi internazionali, da qui a qualche anno poi sarebbe nata anche la moda per il Nero d’Avola. Benanti invece voleva fare un’indagine più approfondita anche sulle tecniche applicate. Per me l’incontro fondamentale fu quello con il professor Rocco De Stefano dell’Istituto di Enologia di Asti che aveva iniziato  i primi veri studi sui polifenoli affermando che se ben coltivata, l’uva non ha bisogno di enzimi o altri apporti esterni. Lo contattai e iniziai una ricerca tecnico-sperimentale prima solo sui vitigni dell’Etna poi estesa ad altre zone della Sicilia. In quel momento ci fu l’occasione di incontrare anche  Jean Siegrist, professore dell’Istituto di Enologia di Borgogna che era in Trentino. RAF_9440Abbiamo spellato e sezionato più di 4000 acini su cui è stato delineato poi il profilo polifenolico e aromatico dei vitigni. Abbiamo verificato le differenze fra l’allevamento ad alberello e quello a spalliera, abbiamo monitorato le precipitazioni e raccolto dati. Il nostro è un vino delle sabbie. Il terreno vulcanico è un terreno vergine che viene dalle profondità della terra e può esprimere al meglio le caratteristiche di quei vitigni che storicamente si sono adattati a questo territorio estremo. Il tipo di acidità che c’è in questi vini è diverso da quello che si può trovare in vini di altre zone”.  La spinta verso la ricerca anima il racconto, lo innerva di una passione forte e traccia le linee del  pensiero su cui è  rinata la viticoltura etnea.

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Brindisi vulcanico   per Volcanic Wimes Milo 2015                                                         Da sin. il sindaco di Milo Alfio Cosentino, l’assessore Luca Patanè, il direttore del Consorzio del Soave Aldo Lorenzoni, Brandon Tokash, Claudio Burato, Salvo Foti, Carlo Zucchetti

“E I vigneri?” chiede ancora Carlo davanti a una bottiglia di Vinupetra 2007.

“I Vigneri 1435 è un progetto che racchiude tutto il lavoro fatto fino ad ora. Il nome riprende la Maestranza dei Vigneri costituita appunto nel 1435 a Catania. Oggi è il nome della mia azienda e di un gruppo di viticoltori autoctoni etnei. L’obiettivo è creare veri professionisti della vigna e proporre una viticoltura tradizionale, con lavorazioni per la maggior parte manuali, con alcune innovazioni tecniche e rispettosa dell’ambiente e della biodiversità. In questo modo vogliamo dare continuità a una civiltà vitivinicola antichissima, custodire e creare reddito sostenibile per noi e per le generazioni future”.   La visione di Salvo sull’enologia etnea è chiara e si fonda su uno studio approfondito non solo delle caratteristiche chimico-fisiche del terreno. Il fattore “uomo”, la sua capacità di entrare in rapporto con un ambiente particolare come “A Muntagna” è fondamentale “Per fare un grande vino servono tre elementi: territorio, vitigno e uomo e devono essere autoctoni. Perché nel nostro caso in particolare, ci troviamo di fronte a un terreno vulcanico con vitigni autoctoni selezionati per questo ambiente e poi ci sono gli uomini autoctoni.  Persone che conoscono bene il modo di lavorare l’Etna, in condizioni estreme e delicate.  Questo significa costruire una cultura e coltura della vite, significa recuperare una storia di tecniche e di tradizioni che vanno trasmesse ai giovani. E bisogna imparare a ragionare senza fretta, non secondo i tempi dell’uomo, ma secondo quelli della natura”.

I Vini

Etna DOC bianco, Aurora  I Vigneri 1435 – Salvo Foti  (Carricante, Minnella)

Vinudilice  I Vigneri 1435 – Salvo Foti

Etna Rosso DOC  I Vigneri 1435 – Salvo Foti  (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio)

Etna Rosso DOC Vinupetra I Vigneri 1435 – Salvo Foti  (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Alicante)

I VIGNERI di Salvo Foti
L.go Signore Pietà, 17
95036 Randazzo (CT) Italy
0933982942
info@ivigneri.it
www.ivigneri.it

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