La tavola imbandita di Matisse

wp156e094b
La Desserte, Henri Matisse, 1896-1897, olio su tela 
collezione privata

Sarebbe troppo facile parlare di Matisse come maestro del colore. Felice armonioso virtuoso dell’arabesco dalle linee tondeggianti e poi rapido maestro delle forbici con la carta. C’è un quadro però, conservato in una collezione privata francese, del 1896, che accende i miei ricordi d’infanzia e risplende di atmosfere familiari. Il giorno di pasqua con i miei fratelli, andavamo da una zia a fare la colazione di rito, la mattina chi si svegliava per primo poteva sbirciare dalla porta la zia o la cameriera allestire la tavola di mille leccornie, prima, in una strana penombra controllata dalle tende, che un venticello primaverile faceva muovere dando adito alla luce del sole. Così, quella preparazione silenziosa veniva illuminata dal bagliore della finestra aperta, amplificato, di tanto in tanto dai vetri delle finestre e dalle brocche colorate di succhi e vini colorati. Mi si perdoni la digressione biografica, è necessaria a carpire l’atmosfera di un’opera di un pittore giovane, non ancora  “belva” del Salon d’Automne del 1905, ma già capace di dar prova di talento. Il quadro s’intitola La desserte, è abbastanza grande e riproduce un interno borghese dove una cameriera amorevolmente dispone un mazzo di fiori su una tavola riccamente imbandita. Il taglio fu forse suggerito dalle stampe giapponesi, con il tavolo in una scoscesa prospettiva che permette di vedere tutto. I piatti con le posate ancora da disporre e i bicchieri di diverse grandezze, in fondo due sedie allineate all’altezza della linea che separa due livelli del muro di fondo di due toni di verde, uno illuminato dal chiarore della finestra, l’altro, più scuro rimanda alla parete in ombra, alle spalle della donna. Il dettaglio così minuziosamente curato non è però frutto di pignoleria descrittiva è, piuttosto, il modo di spezzettare la luce in piccoli scintillii. Tutto, infatti, è frutto della luce bianca accecante della finestra, amplificata dai fiori bianchi si sentono frusciare tra le mani della donna, con in testa una luminosissima cuffietta e un grembiule anch’essoluminoso, ma il saggio pittorico è sul tavolo. Qui, piatti, bicchieri e posate sono ritoccati da lumeggiature materiche, grumose pennellate e tocchi che segnano i bordi delle cose e  delle alzate. Le alzate! con i pomi colorati e perfetti suggeriti da quella “vitamina” Cezanne, come s’è detto tempo fa in queste pagine. Proprio Cezanne, infatti, informa la pittura di Matisse sul trattare i volumi delle cose anche se per quest’ultimo rimane importante l’atmosfera post-impressionista governata dalla luce solare.

Undici anni dopo Matisse affronterà lo stesso soggetto in un quadro, acquistato dal collezionista Susckin e ora all’Ermitage, in modo del tutto diverso. Armonia in rosso è abbagliante, quasi allucinogeno, arrampicato dai segni neri di arabesco e vasi di fori, è sì una tavola imbandita, ma dove è sparita ogni prospettiva in cui anche quella che può essere definita una finestra e un paesaggio non è altro che un quadro nel quadro, tutto è frutto di ornamento ora fatto di linee curve e armonie. La frutta ha perso sapore diventando astratti cerchietti colorati anche se, non c’è niente da fare, rimane sempre quel piatto rialzato, la vitamina “C”.

imgres
Armonia in rosso, Henri Matisse, 1908, cm. 180.5×221, olio su tela, Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo.

Ti piace questo articolo?

Condividilo su Facebook
Condividilo su Twitter
Condividilo su Linkdin
Condividilo su Whatsapp


Spazio disponibile

Per la tua pubblicità in questo spazio contatta advertising@carlozucchetti.it

Ultimi articoli


Spazio disponibile

Per la tua pubblicità in questo spazio contatta advertising@carlozucchetti.it

Iscriviti alla Newsletter di Carlo Zucchetti