Tenuta Sant’Isidoro, passione per la propria terra

Arriviamo a Tarquinia nel primo pomeriggio, con un cielo carico di pioggia che minacciosamente ci assedia, ma ancora si trattiene dallo scatenare il temporale. Ci lasciamo la città storica alle spalle, mi volto a guardare il suo profilo frastagliato e imponente, le sue mura e le sue torri che ne sottolineano l’importanza in epoche lontane e buie come il cielo di oggi. È bella Tarquinia, nonostante le case moderne fuori dal centro storico. Grazie alla sua posizione rialzata continua a dominare il territorio e mantiene intatto il fascino del suo aspetto medievale. Scriveva Piovene nel suo Viaggio in Italia parlando di Tarquinia: “Siamo nel Lazio, ma alle porte della Maremma; e forse più nella Maremma per la qualità del paesaggio, e per la forza con la quale su queste plaghe si è stampata la civiltà etrusca”. E il legame con la Maremma, con le sue terre è quello che sottolinea anche Giovanni Palombi che abbiamo incontrato nella Tenuta Sant’Isidoro, confermando il pensiero dell’enologo dell’azienda Riccardo Cotarella che nel 2009 affermava: «Il litorale e l’entroterra laziale non hanno nulla da invidiare in quanto a clima e terreno a quello toscano di Bolgheri e Castagneto Carducci, però a mancare sono gli interpreti, i produttori “vocati” alla qualità» (Effetto DiVino).

Giovanni Palombi e Carlo Zucchetti

Il rapporto della Tenuta Sant’Isidoro con la famiglia Palombi nasce alla fine degli anni ’30 con Nino (Giovanni) Palombi. L’agricoltura è quella tradizionale, grandi estensioni di seminativo, pastorizia e prodotti ortofrutticoli. Nel Dopoguerra, in azienda, anche per cercare di dare lavoro a chi usciva dal periodo devastante della guerra, si decide di impiantare 40 ettari di uva da tavola, lo scasso viene fatto  a mano, il prodotto alimenterà i mercati del Nord Europa.  Giovanni sintetizza efficacemente in un’immagine l’agricoltura dell’epoca: “A mio nonno bastava un quadernino dove appuntare le cose da fare o ricordare, per il resto era lavoro sul campo”.  Poi l’azienda passa al figlio di Nino, Emidio.  In suo onore è stato fatto il vino Soremidio, fiore all’occhiello della Tenuta Sant’Isidoro che, in una recente degustazione a Volterra, ha ricevuto gli apprezzamenti del giornalista enogastronomo Pardini ed è presente, da anni, sulle migliori guide dedicate al vino, sempre con ottimi punteggi.

 

Antonio Palombi, Carlo Zucchetti, Giovanni Palombi e la nuova generazione Palombi

Negli anni ‘70-80, in un periodo complesso per l’agricoltura italiana,

 Carlo Zucchetti con Aldo Spada e con  Giovanni Palombi

Emidio Palombi, perito agrario, sceglie, suo malgrado, di lavorare sulla quantità conferendo alle cooperative sociali, all’epoca improntate alle alte rese, o vendendo il prodotto sfuso. Se da un lato la sua naturale spinta verso la qualità rimane momentaneamente frustrata, dall’altro “Sor” (appellativo comune nelle nostre zone, è una contrazione di “signor”) Emidio riesce a modernizzare l’azienda e a “preparare il terreno” per un approccio più innovativo e avanzato che si compirà da lì a qualche anno.  Il contributo di Aldo Spada, cognato e agronomo, è fondamentale in questa fase. Ancora oggi la Tenuta Sant’Isidoro si avvale delle sue preziose indicazioni e della profonda conoscenza del territorio e della sua storia. E così, nel passaggio alla terza generazione Palombi si colloca l’ulteriore evoluzione della Tenuta Sant’Isidoro.  Insieme al padre e allo zio Aldo,  Giovanni agronomo,  Antonio commercialista e, più defilato per “Alti motivi”, ma presente spiritualmente, Francesco –  “chiamato in missione per conto di Dio”, come dice scherzosamente Carlo Zucchetti – decidono di puntare sulla qualità. L’incontro con Riccardo Cotarella e il confronto, lo studio con realtà già avviate come la Marchesi Antinori, fanno il resto.

Giovanni ci porta con il fuoristrada a visitare i vigneti, 60 ettari 40 dei quali sono stati impiantati tra il ‘97 e il ’99, negli anni della svolta qualitativa. La Tenuta Sant’isidoro con i suoi 800 ettari di estensione  da una parte è un compendio della storia agricola di questa zona, dall’altra ha tracciato la strada a un approccio moderno dell’agricoltura all’interno di un impianto tradizionale: seminativi, allevamenti di pecore e vacche maremmane, una viticoltura di qualità che offre

Tenuta Sant’Isidoro

l’alternativa tra la bottiglia e lo sfuso riservato allo spaccio aziendale come i prodotti ortofrutticoli. Il punto vendita, nato negli anni ‘50, deciso antesignano del km0 odierno, è un luogo di riferimento importante per chi, tra turisti e locali, cerca soltanto prodotti freschi e di stagione. Giovanni ci racconta di come si sia operato per garantire al punto vendita un continuo ricambio di prodotti (provenienti esclusivamente dalla Tenuta Sant’Isidoro) cercando di  lavorare sulle varietà scalari. Così negli anni ’70  da una mutazione gemmaria della spreeng crest, pesca che matura a giugno, si era riusciti con la collaborazione dell’Università di Pisa a  brevettare  la Early Crest, una pesca  che matura 15 giorni prima, e che è stata immessa con successo sul mercato negli anni ’80.

Scendiamo dalla macchina, davanti a noi i filari disegnano il paesaggio. Carlo Zucchetti rivendica l’iniziazione al vino e al buon bere di

Tenuta Sant’Isidoro

Giovanni avvenuta grazie  alle degustazioni e alle bevute all’Enoteca La Torre. La conversazione fra Carlo e Giovanni si inoltra in un dibattito sui metodi di potatura, sul diverso allevamento per i vari vitigni, il diradamento, la scacchiatura. Gli acini sono ancora piccoli, i grappoli verdi si confondono tra le foglie:

“Hai pensato di fare il Trebbiano in purezza, ne ho assaggiati alcuni davvero interessanti ultimamente” chiede Carlo.

Giovanni guardando le viti rigogliose: “Al momento no, l’appezzamento del Trebbiano è tra quelli più vecchi dell’azienda, risale agli anni ’70, è a cortina semplice, per fare un Trebbiano in purezza sarebbe necessario rempiantare, abbiamo lavorato sul Pinot bianco che però non ho

Tenuta Sant’Isidoro

imbottigliato. È stato destinato allo sfuso e ha avuto grande successo.”

“Siamo passati da terreni molto chiari, a un impasto scuro più ricco, una diversità di suoli importante”, osserva Carlo, mentre agita il suo Borsalino per scacciare i moscerini che segnalano il regime di lotta integrata dell’azienda.

“Sì, è anche interessante per le uve e per le diverse reazioni delle piante”. Giovanni ha un’intelligenza lucida e un pragmatismo naturalmente alimentato dalla pratica agricola.  Con il suo modo di muoversi domina lo spazio con solare sicurezza tradendo un carattere aperto, generoso e concreto che negli occhi chiarissimi e vivaci trova la sua massima espressione. Il discorso si sposta sulle esportazioni, la Tenuta Sant’Isidoro vende il 70% del vino soprattutto in Svizzera, Nord Europa e Giappone.

Giovanni Palombi e Carlo Zucchetti

“La Tenuta Sant’Isidoro ha ormai conquistato un posto riconosciuto dal mondo del vino, e sul vostro esempio Tarquinia  ha visto nascere e svilupparsi negli ultimi anni altre aziende con ottime potenzialità. Si delinea in maniera sempre più chiara la possibilità di far crescere e investire su una vitivinicoltura di qualità in questa zona e il merito è anche vostro che avete saputo cogliere e mettere a frutto le caratteristiche di un terreno e di un clima adatti a questi fini.” afferma Carlo che da sempre promuove la Tuscia come zona  ad  alta vocazione enogastronomica.

Lasciando trasparire il profondo legame con la propria terra, Giovanni risponde: “Ho sempre pensato a questa come  a una terra d’eccellenza con una grande varietà di suoli da quelli collinari calcarei, in alcuni casi argillosi, a quelli alluvionali, sabbiosi e argillosi vicini al mare. Le caratteristiche pedoclimatiche sono secondo me adatte, ma la viticoltura ha bisogno di investimenti a medio-lungo termine. Alla base c’è un discorso culturale, qui la cultura del vino si è persa, bisogna lavorare prima in questo senso, ricreare un’attenzione sul vino in questa zona”.

Giovanni Palombi e i vini della Tenuta Sant’Isidoro

Ci spostiamo per visitare lo spaccio aziendale, un leprotto balza tra i filari, neanche il tempo di intenerirsi che Carlo, con rammarico, lo definisce troppo giovane per la pentola.

Località Portaccia, 01016 Tarquinia (VT)

Tel. + 39 (0)766 869716 – Fax +39 (0)766 864154

www.santisidoro.net

info@santisidoro.net

Agronomo: Aldo Spada

Enologo: Riccardo Cotarella

Superficie vitata: 57 ha

I vini

Forca di Palma, IGT Lazio Bianco (Chardonnay, Trebbiano Toscano)

Corithus, IGT Lazio Rosso (Merlot, Montepulciano, Sangiovese)

Soremidio, IGT Lazio Rosso (Montepulciano)

Terzolo, IGT Lazio Rosso (Cabernet Sauvignon,  Merlot)

 

 

 

 

 

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