Sostenibilità e certificazioni uniformi le chiavi future per l’ortofrutta

Con 2 milioni di ettari coltivati, 500.000 aziende agricole, 300.000 addetti, un fatturato complessivo di oltre 20 miliardi di euro (pari a circa un terzo dell’intera produzione lorda vendibile agricola) e un giro d’affari all’export di 7,4 miliardi di euro, l’ortofrutta italiana ha ancora spazi per crescere, grazie alla qualità dei prodotti, a una rete logistica che vede in Verona la porta per l’export e alla sostenibilità, elemento chiave sempre più ricercato dai consumatori. L’esigenza dei produttori, però, è quella di avere il più possibile certificazione comuni, per poter uniformare le procedure e i requisiti necessari per vendere nei paesi esteri. Sono questi i messaggi emersi dal primo giorno di Fruit&Veg System, la startup promossa da Veronafiere e Agrifood Consulting, in programma fino a venerdì 6 maggio a Verona. Un evento innovativo, che per la prima volta ha messo in contatto la filiera produttiva dell’ortofrutta con il mondo della logistica: importatori, esportatori, grossisti, buyer nazionali ed esteri.

Protagonista della giornata inaugurale è stato il pomodoro, prodotto simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, oggetto di un’indagine condotta dal Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Verona. A Fruit&Veg System è stato presentato Foodchoice Forecast, un osservatorio in grado di prevedere, attraverso le abitudini di acquisto e di consumo, le esigenze del consumatore e del mercato in materia di ortofrutta e di internazionalizzazione.

La sostenibilità è sicuramente uno dei driver che spinge all’acquisto del prodotto italiano, anche alla luce di una accresciuta competizione a livello internazionale con nuovi paesi produttori. «I consumatori sono disposti a pagare di più se vengono rispettate qualità e sostenibilità – spiega Riccardo Scarpa, professore dell’Università di Verona – anche se un riscontro reale in termini di maggiore remunerazione si verifica solamente in Germania, mercato analizzato insieme a Russia, Norvegia e Regno Unito». Cifre alla mano, infatti, su 101.008 tonnellate di pomodoro italiano fresco esportate nel 2015 (fonte: Trade Map) i principali paesi di destinazione sono la Germania (28.188 tons, pari al 31% del totale esportato), Austria (16.685 tons), Regno Unito (8.250 tons), Francia (8.179 tons), Romania (6.116 tonnellate). Le opportunità di aumentare le esportazioni dall’Italia sono elevate tenendo presente che ogni paese privilegia aspetti differenti, con una marcata attenzione su elementi quali il sapore, la carnosità della polpa, la consistenza esterna al tatto, l’assenza di macchie sulla buccia o danni da schiacciamento.

Dal mondo delle imprese è emersa l’esigenza di uniformare il sistema certificativo richiesto per esportare. «Le certificazioni del processo o del prodotto sono per noi un potente elemento distintivo – specifica Stefano Pezzo, presidente di Fruitimprese Veneto, una realtà costituita da 42 aziende associate, per un fatturato di 500 milioni di euro, 1.000 occupati diretti e 4.000 nell’indotto – ma per il sistema ortofrutticolo italiano manca una posizione univoca, che eviti alla nostra filiera di doversi dotare di requisiti BRC se si rivolge al Regno Unito, Ifs se vende in Germania, Global Gap per rivolgersi alla distribuzione di alcuni paesi europei. Tutto questo ha un costo e, molto spesso, i requisiti oggetto di verifica si sovrappongono». Un problema per un gruppo come Fruitimprese che, a livello nazionale, aggrega 300 imprese, 25.000 addetti, un fatturato di 4,5 miliardi (di cui 1,5 miliardi grazie alle esportazioni) e tratta 5 milioni di tonnellate di ortofrutta. Sul tema della certificazione unica sta lavorando il prof. Luigino Disegna di Csqa Certificazioni, fra i più importanti player del settore certificativo. «I marchi BRC, Global Gap, Ifs o altri sono imposti dalla grande distribuzione o dal mercato internazionale – ricorda – Il Csqa sta pensando a uno schema di certificazione che faccia sintesi e non escluda i determinati requisiti, con una sorta di schema olistico che rappresenti un po’ tutte le esigenze e che risponda al requisito della sostenibilità ambientale, economica e sociale, perché si tratta del secondo elemento della reputazione di impresa, dietro solamente alla qualità dei prodotti e prima del prestigio dell’azienda e della capacità innovativa».

Fra le tendenze in crescita sul mercato dell’ortofrutta ci sono il comparto biologico e la nutraceutica, che si traduce, come  spiega Mariateresa Russo, docente di Chimica degli alimenti dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria «nella ricerca di prodotti con caratteristiche nutrizionali che esprimono specificità come la presenza di antiossidanti, vitamine, probiotici; aspetti per i quali i consumatori sono disponibili a riconoscere un prezzo superiore».

In forte ascesa anche il biologico, al punto che «nel reparto dell’ortofrutta abbiamo cominciato a lavorare sul biologico sfuso, rispettando normative più stringenti e prevedendo bilance e spazi dedicati», come specifica Roberto Simonetto, direttore vendite di Carrefour Market, presente in Italia con oltre 450 punti vendita. «In tutte le principali città italiane – continua – abbiamo inaugurato uno specifico cluster definito “Gourmet”, in cui il fresco, e l’ortofrutta nello specifico, sono centrali. Ci rivogliamo a un cliente esigente, con una referenza di gamma medio-alta, in grado di coniugare qualità, distanza, chilometro zero, provenienze differenti, assortimenti, coltivazione, classificazione del prodotto. Questa tipologia rappresenta quasi un quarto di tutto il fatturato dell’ortofrutta, segno che aver spostato l’attenzione dal “quanto costa” al “quanto vale” è stata una scelta vincente».

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