Cos’è il cibo prima, un animale, un pesce, un frutto, una pianta forse la terra che la sostiene e la nutre o la terra, l’intero pianeta a cui questa terra appartiene. Così, via via per sott’insiemi, quasi ad impedire che la memoria s’offuschi dietro il fruscio di una carta che urla, coloratissima, la fragranza di un pane in cassetta. Un fruscio artificiale del tutto diverso da quello che le spighe di grano emettono quando sono pettinate dal vento, mature e bionde nel mese di giugno, in un ultimo fremito prima della falce. Ebbene questo mondo “prima”, questa esistenza tra suolo e sole sembra essere il tema della mostra di Herman de Vries nel padiglione dell’Olanda ai giardini per la 56° Biennale di Venezia. Herman è un artista che ha scelto di vivere sin dal 1970 nel villaggio Bavarese di Eschenau dove impianta il proprio progetto artistico. Conservando il biotipo di Eschenau, De Vries si sposta nel mondo alla ricerca di un accordo ambientale. Così è stato per Venezia dove Herman ha integrato i due caratteri biologici in un piano che si irradia dal padiglione dei giardini progettato da Rietveld nel 1954.
La linea che lega l’albero di Piet Mondrian a De Vries sembra mai interrompersi e chiedere ancora alla natura il conforto materno per l’arte ormai troppo dipendente dalla comunicazione. Ecco allora che l’installazione dei colori della terra sulla parete del padiglione veneziano assumono il valore paradigmatico di una documentazione di una base ritrovata. Nell’incredibile variare delle gradazioni dal bruno al giallo, passando per verdacci acidi e addirittura al bianco, la sequenza di campioni di colore ci indica lo splendido variare dell’umile supporto della vita, di quell’humus da dove tutto ha origine. Poi c’è il grande cerchio di aglio al centro della sala e, accanto, su un piano rialzato una raccolta di piccoli falcetti a testimonianza del primo passo dell’uomo di appropriazione del frutto della terra, con un gesto antico, neolitico, druidico. Poi sul fondo una sequenza di opere fatte con spighe di grano, sembrano alludere al potere suggestivo del segno, quasi astratto dei campi dipinti da un altro olandese, nel 1889, Vincent Van Gogh, non quello famosissimo dei corvi che è del 90’, si badi bene, ma il Campo di grano con mietitore di cui il pittore vede una morte dorata illuminata dalla luce del sole. Il grano reciso, infatti, si fa farina e pane innestandosi ad un altro ciclo vitale che nel mondo è pressoché uguale, ovunque. Così si spiegano i versi di Herman de Vries del 1972, La mia poesia in questo mondo .
La mia poesia in questo mondo
La scrivo ogni giorno
La riscrivo ogni giorno
La vedo ogni giorno
La leggo ogni giorno
La mangio ogni giorno
La dormo ogni giorno
E’ il mondo che ho scelto
Lui sceglie me ogni giorno
La mia scelta è la mia poesia