La dieta Beecroft

Si è concluso da pochi giorni il Salone del Gusto a  Torino e mi viene da pensare a ciò che accadde in questa città diversi anni fa proprio relativamente a un singolare banchetto che carpì oltremodo il gusto della gente del mondo dell’arte.

Vanessa Beecroft aveva già presentato il suo lavoro sul cibo nel 1993, un dattiloscritto dove aveva annotato, giorno per giorno, ciò che mangiava segnandone il colore e la quantità. Il diario della Beecroft intitolato Despair è la premessa per ragionare su una sua opera che fece a Torino nel 2003, esattamente in quello che allora era uno dei templi dell’arte contemporanea d’Italia, Il Castello di Rivoli. L’opera è una tavolata di  donne invitate a mangiare cibi di colore rosso, come mele, pomodori, ribes e così via. Lo scopo dell’invito è quello di scattare alcune foto dell’evento al fine di venderle come opere d’arte. Vanessa era infatti la “cover artist” degli anni Novanta del Secolo scorso, imperversava, insieme a Maurizio Cattelan, sulle copertine di Flash Art e non solo con le foto delle sue performances così a cavallo tra il glamour di Helmut Newton  e l’impegno sponsorizzato di Oliviero Toscani. A Vanessa Beecroft si attribuisce il merito di aver stravolto e rivoluzionato il concetto di performance, di sicuro l’ha allontanato dall’azione propositiva, dal gesto dichiarativo e ideologico per farne un set, un tableaux vivant edonistico lontano dalla drammatizzazione di una condizione umana. visione-del-banchetto-realizzato-per-la-performance-vb-52Semmai c’è umanità nelle regie di Vanessa, si tratta di un’umanità algida, impersonale, corretta ed epurata costantemente da segni omologanti, adattata da una tavolozza per sfoggiare un equilibrio cromatico in fotografia. Così era la Tavolata di Rivoli, un’immagine dove il cibo era ciò di più lontano e il mangiare l’atto meno evidente. Dal bianco della ribalta la progressione cromatica venne sapientemente modulata, tra l’ostentato adeguamento elettivo delle modelle seminude in primo piano e il camuffamento selettivo delle figure a seguire. File di tavoli trasparenti, al contempo, sospendevano su un piano aereo la linea rossa dei cibi, mero espediente scenico, lanciata nella prospettiva sino in fondo tra canute parrucche. Il corpo nudo per Vanessa Beecroft è un abito i cui accessori sono un evidente coronamento il resto puro esercizio pittorico. Tutto appare più chiaro quando si scopre che, oltre quel chiarore delle prime figure sedute, tra i commensali colorati c’è mamma Beecroft e la sorella dell’artista Jennifer fino a delle nobildonne torinesi che sotto i parrucconi occupano il culmine della piramide visiva. È chiaro, quindi, che Vanessa mette in scena il sistema che la sostiene a cominciare dalle sue opere per passare alla famiglia e al collezionismo che la finanzia, una linea rossa che conduce dall’idea al portafoglio scorre il vitale flusso sanguigno dell’artista. Quella che, in un articolo dell’ottobre di quell’anno Adriana Polveroni definì  “una leggenda postmoderna”, è il banchetto di un artista che celebra la sua scalata al successo sfruttando le proprie ossessioni e drammi sicché il cibo che in otto anni di studi a Milano è stato il soggetto principale del diario privato di Vanessa s’è trasformato in oro e, in tal caso, il tocco d’oro di Mida di certo non fa morir di fame.

Photo credit: www.exibart.comvb-52

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