Il Commissario Montalbano e la gola

Andrea Camilleri è il creatore di una delle più “buone forchette” della letteratura poliziesca italiana: il siculo Commissario Montalbano. andrea camilleriA chi di noi non piacerebbe una pausa pranzo da Enzo a Mare, il ristorate al porto, non troppo lontano dal commissariato di Vigata? Quello nel quale Salvo si rifocilla a colpi di piatti che escono dal racconto e ti fanno arrivare lo sciauro direttamente dintra alle narici! Chi non vorrebbe tornare a casa e trovare nel frigo o in forno, la straordinaria pasta ‘ncasciata della governante Adelina? La donna che grazie ai suoi manicaretti (i cavatuni, i purpi…) riesce a farsi perdonare l’antipatia, esplicita e viscerale nei confronti di Livia, fidanzata del commissario, gli illegali sgambetti dei figli pregiudicati, e anche le camice di pessimo gusto regalate al commissario. Quante volte ho desiderato essere sulla verandina a ripa di mare, a Marinella, a gustare con Salvo il più semplice tummazzo e aulivi! Mi viene il languore al solo pensiero! A Montalbano sta la cucina come allo scrittore la fantasia. Non avrebbe risolto nemmeno la metà dei suoi rocamboleschi casi senza la “lucidità della digestione” dei piatti di Enzo. La passiata al porto, il riposo sullo scoglio. L’essere osservato dal piccolo granchio, o accompagnato da una lunga sigaretta sono i momenti in cui il commissario è solo con i suoi pensieri. imagesNascono le intuizioni. Si sveglia l’istinto, si aguzza l’ingeno. Questo personaggio, tra una parmigiana e un crudo di pesce frischissimo, entra in empatia col malfattore, o con lo sventurato. Nel silenzio del pasto, nel silenzio della digestione. Montalbano trova nel cibo appagamento, concentrazione. Quando condivide il desinare con un ospite non è mai troppo rilassato. Anche se il commensale, come accade spesso fosse una donna bellissima, o un testimone da cui attingere informazioni, la richiesta a volte esplicita che lui fa è il silenzio. Il cibo va assaporato, gustato senza distrazioni. Tornare all’azione: interrogare e preparare strategie è cosa successiva, tra le mura del commissariato con il fedele amico Augello, suo vice, il poliziotto più bravo anche se fissato con i dati anagrafici Fazio, ed ultimo, ma primo in simpatia lo svampito piantone Catarella. Questi i personaggi fortunati della saga Montalbano. Il cibo è anche un lascia passare, un mezzo per ottenere spesso le informazioni più importanti: il medico legale, il Dott. Pasquano, ha una vera passione per i cannoli. L’amore per Livia è continuamente un mare in tempesta, umori cangianti, basta un nonnulla alla telefonata serale per dare sfogo alla quasi quotidiana azzuffattina. Non a caso uno dei tratti caratteristico del personaggio è quello di essere una pessima cuoca. Quando c’è Livia, Adelina scompare. Le due donne sono antagoniste pure. E chi ci rimette è Salvo che rimane col frigo vuoto e con tante scuse da inventare per poter mangiare fuori: Livia non azzecca mai nemmeno la cottura degli spaghetti.

copertina testoIl racconto del 1999 dedicato agli Arancini di Adelina nasce dalla penna dello scrittore dal momento in cui il Commissario Montalbano decide di non passare il capodanno con Livia. Tra i tanti inviti ricevuti accetta proprio quello di Adelina, il più gustoso, succulento. La cameriera lo strega con la promessa di poter gustare i suoi fantastici arancini. Il pomeriggio del trentuno, Montalbano viene a sapere che il figlio di Adelina, Pasquale è indagato per un furto in un supermercato. Il commissario incomincia le sue indagini. Incontra segretamente Pasquale che gli confessa di avere veramente programmato una rapina in quel supermercato, ma per la serata successiva. Salvo non perde un attimo, la posta in gioco è troppo alta: deve risolvere il caso per poter gustare in pace i mitici arancini. Con una motivazione del genere successo e rapidità di soluzione sono assicurati. E non si smentisce, prima di sera riesce a comunicare alla Mobile i nomi dei veri colpevoli e indica dove è nascosta la refurtiva.

Andrea Camilleri, in una intervista uscita sulla Domenica di Repubblica nel 2005, spiega da dove nasce il racconto e più in generale le suggestioni gastronomiche del Commissario:

“E così lei vuole sapere da me  Vuole farmi arriminare in quella zona della mia memoria dove sono sarbàti i profumi, gli aromi, i sapori, le atmosfere e i segreti della tavola del commissario. Cioè della mia. E va bene, parliamone: questo è un tema che puntualmente spalanca la porta della mia giovinezza, è un piccolo viaggio nel tempo che faccio con piacere.” […] Da dove cominciamo? Senza dubbio da mia nonna Elvira, che era la generalessa della cucina. […] Poi c’era il rito degli arancini. Gli arancini di Montalbano, certo. Mia nonna diceva che prepararli era lungariusu, ci voleva tanto tempo. Perché bisognava preparare la carne, tanto di maiale e tanto di vitello, spezzettandola col tagghiaturi, la mezzaluna. Ci voleva tempo. copertinaSi aggiungevano i piselli, un po’ di caciocavallo ragusano e qualche pezzettino di salame, si impastava tutto in un pugno di riso e si passava l’arancino nell’uovo, nella farina e nel pangrattato, per l’impanatura. Ma non si friggevano subito. No, bisognava aspettare una notte, lasciarli riposare in pace. E il giorno dopo, a tavola, si vedeva com’erano venuti. Perché il problema dell’arancino era il dosaggio, che non era mai lo stesso, e dunque ogni volta mia nonna passava un esame. “Comu vinniru stavota?” domandava. “Un tanticchia asciutti. L’autra vota erano megliu” rispondeva mio nonno. Un giorno li fece in un modo davvero sublime, e io stavo per dirglielo. Mio zio Massimo mi diede un cavuciu sotto la tavola. “Boniceddu” mi sussurrò. Ma perché? gli domandai. “Perché lei deve sempre superare se stessa: se tu le dai soddisfazione, è finita”.

Ed ecco per chi volesse sperimentarla, la ricetta degli Arancini tratta dal Racconto di Andrea Camilleri, Mondadori – 1999

aranciniGli Arancini di Montalbano

“Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!).foto2 Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!”

Ne esistono una infinità di varianti: con il burro, la besciamella, il prosciutto e agli spinaci per i vegetariani.

La sostanza rimane la stessa: per godere del meglio è necessario dare il meglio: con impegno, senza scorciatoie tentando di superare i propri limiti.

Ti piace questo articolo?

Condividilo su Facebook
Condividilo su Twitter
Condividilo su Linkdin
Condividilo su Whatsapp


Spazio disponibile

Per la tua pubblicità in questo spazio contatta advertising@carlozucchetti.it

Ultimi articoli


Spazio disponibile

Per la tua pubblicità in questo spazio contatta advertising@carlozucchetti.it

Iscriviti alla Newsletter di Carlo Zucchetti