25 Aprile tra il “Fiore del Partigiano” e la fame. “Sempre polenta gialla e guardie a volontà”

25 Aprile giorno simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica dalle forze partigiane contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista.

Mi sveglio presto e guardando la valle che degrada sotto di me canticchio la prima strofa di “Bella Ciao”. Rileggo il discorso che tra poco terrò in Onore del Partigiano montefiasconese Medaglia d’Oro al Valor Militare “Delio Ricci”. Osservo il suo volto in una vecchia foto in bianco e nero. Delio come moltissimi partigiani era giovanissimo “gli Eroi son tutti giovani e belli”.  La Sezione Anpi del mio paese è dedicata a Lui ed oggi per me, per la popolazione è una giornata di ricordo, d’amore e di commozione. Scrivere di ricette e cibi, non è facile.

“I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra”. Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano 1993, pag. 83.

Grazie alle parole di Italo Calvino inizio una ricerca che mi porta ad un bellissimo ed esauriente articolo di Marco Rossi in “Sapori Resistenti – Dal fascismo alla Resistenza. Che cosa mangiavano (e non mangiavano) gli italiani. E i partigiani”. Rivista Anarchica anno 34 n. 304 dicembre 2004 – gennaio 2005

(…) Incubo quotidiano. Nel ’43, dopo l’armistizio e l’8 settembre, nelle regioni del centro-nord sotto la Repubblica di Salò e l’occupazione nazista, il problema dell’alimentazione sarebbe divenuto praticamente l’incubo quotidiano di tutta la popolazione civile (…) Gravissima la situazione nelle grandi città, mentre nelle cittadine di provincia e nelle campagne, grazie alle produzioni locali, era ancora possibile un minimo di nutrizione degna di tale nome (…) Il pane era la cosa che mancava di più; si era ancora in un mondo segnato dalla sua sacralità, nel quale costituiva anche la spina dorsale dell’alimentazione. Era, invece, razionato per tutti, esclusi agricoltori (proprietari), coltivatori (diretti), mezzadri ed “avvittati”, i quali trattenevano grano sulle cessioni agli ammassi; questa in un certo senso logica divisione generava due non logiche conseguenze: in Arezzo e nei paesi i più mangiavano pane cattivo, umido, mozzo, fatto con miscele di farina di grano mischiato a semole, a granturco, a ghiande (si diceva) (…) Invece nelle case delle campagne c’era, di regola, e salve quelle degli operai-pigionali non agricoli, pane fatto in casa, nei forni privati, buono, ed un po’ più abbondante che in città (…) Oltre a quella del pane un’altra carenza fondamentale riguardava, come già accennato, il sale ormai divenuto una merce preziosa quanto rara, dato che quasi tutte le saline che rifornivano il mercato italiano si trovavano al Sud. Ormai introvabile anche il pepe, come tutte le spezie orientali, vanamente sostituito dalla “pepina”, un improbabile miscuglio senza sapore, e da qualche ormai vecchia scorta senza più fragranza.  “La crisi combinata di sale/pepe mise in difficoltà l’allora molto circoscritta e quantitativamente modesta attività dei macellai/insaccatori e generò la rarefazione di salumi e salsiccia, e dei mitici prosciutti, sogno di tutti”partigiani

L’alimentazione partigiana. Se questo era, seppur sommariamente, il quadro generale per tutta la popolazione, si può facilmente immaginare che quanti scelsero di andare sui monti a condurre l’aspra guerra partigiana e quanti rimasero nelle città a condurre nella clandestinità la lotta armata, dovettero innanzi tutto far fronte al problema delle loro necessità alimentari.  Sull’argomento è possibile raccogliere numerose testimonianze che indicano, come è ovvio, una molteplicità di condizioni e di contesti.

Al Nord, nelle Langhe, una prima fonte di approvvigionamento furono i magazzini dell’ormai disciolto regio esercito italiano, o quanto restava di essi, come racconta Nuto Revelli. (…) Il problema dei viveri venne risolto in vario modo, dall’acquisto presso i contadini alla requisizione più o meno forzata nei confronti dei proprietari più ricchi, dall’esproprio a spese dei possidenti fascisti al prelievo di beni con rilascio di buoni del Comitato di Liberazione Nazionale. Inutile negare veri e propri casi di furto, seppur rari e generalmente causato da emergenze, ma è altresì da segnalare il fatto che spessissimo la popolazione divise spontaneamente il poco che aveva con quanti erano alla macchia. In altri casi, nonostante i gravi rischi di ritorsioni fasciste, i contadini preferirono spontaneamente offrire bestiame e grano ai partigiani piuttosto che consegnarli all’ammasso imposto dai “repubblichini”. Fu comunque una “guerra dei poveri”, tanto che nella memorialistica resistenziale ricorre sempre il riferimento alla fame patita, soprattutto durante le azioni di guerriglia e i ripiegamenti per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti.

Stringiamo la cinghia

La fame e il piombo

paura non ci fa,

oi cara mamma, oi cara sposa,

stringiamo la cinghia

se fame ci assal,

che ci rinfresca

la neve ci sarà…..

Tale condizione era talmente condivisa e sofferta all’interno delle comunità partigiane, da rendere importanti anche piccoli gesti che, in simili contingenze, assumevano valori e significati del tutto particolari.

(…) Il vino, come è noto, ha sempre avuto un posto importante nella storia proletaria e non fa certo eccezione il capitolo della lotta partigiana. Il vino buono per far tacere la fame, per riscaldare, per dare coraggio e anche per cantare. Come attesta questa canzone, originaria di una zona della Toscana dove sicuramente la mancanza di vino doveva essere vissuta quasi come un dramma.

La polenta gialla  

C’è un gruppo partigiano

nel garfagnin

che da parecchi mesi

non beve il vin.

Sempre polenta gialla

c’è da mangiar

e guardia sempre guardia

a volontà….

Sul vino bevuto dai partigiani si trovano molti accenni (…) quella narrata da Bocca, sarebbe degna di un film: “Non ho mai visto una guerra così strana, dice Alberto, la battaglia del vino. Per sette giorni di seguito, non abbiamo fatto che sparare e bere. I valligiani piuttosto di lasciare il loro vino ai tedeschi preferivano finirlo. Ogni paese in cui ci ritiravamo combattendo traeva dalle cantine le bottiglie più preziose. Ricordo Ponte Marmora. Avevamo piazzato il mortaio in un prato. Vicino alla bocca da fuoco e sparse tra le munizioni c’erano una trentina di bottiglie vuote, ma altre ancora piene sul carrettino col quale le avevano trasportate da Prazzo (…) Arrivò la reazione nemica, granate scoppiarono poco lontano e pallottole sibilarono nell’aria. Allora, senza scomporsi, caricarono il mortaio sul carrettino, vicino alle ceste delle bottiglie e, cantando, presero la strada per Prazzo.

……Ed è da una suggestione di Nuto Revelli che prendo l’idea per la ricetta di oggipolenta dadi pronta

“Polenta e cavoli”  

 

 

 

 

 

 

Ingredienti

broccoli e verze

350 g Farina di mais

20 g Farina 00

1/2 Cavolo verza

1/2 Cavolfiore diviso a cimette

200 g Parmigiano grattugiato

q.b. Olio E.V.O.

q.b. Sale

Preparazione

Pulire la verza, lavare bene foglia per foglia. Scottare in una pentola con abbondante acqua bollente salata insieme alle cimette di cavolfiore; quindi, sgocciolate il tutto con cura. In una padella con 2 cucchiai d’olio E.V.O. fare insaporire la verza e il cavolfiore. Unire poi in una terrina e lasciare raffreddare. Nel frattempo preparate la polenta con la farina di mais, cotta in 1,25 litri d’acqua e sale per 1 ora e 15 minuti. Non appena sarà pronta, aggiungetevi i cavoli e il parmigiano grattugiato; mescolate e lasciate raffreddare.

unione ingredienti

 

 

 

 

 

 

Tagliate la polenta ormai fredda a dadini, infarinateli e friggeteli in modo uniforme in una padella con abbondante olio caldo.

dadi di polenta frittura

 

 

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