Sempre la stessa minestra!

“Non far rumore mentre mangi il brodo!” mi redarguiva mia madre lanciandomi occhiate acuminate come spilli, da li in poi ho odiato chi rumoreggiava alla suzione del consommé, eccezion fatta per vecchi, malati e bambini. Eppure proprio su questo sgradevole effetto sonoro si basa la performance di Filippo Berta  “Concert of soloists” avvenuta all’ambasciata Italiana di Berlino il 28 aprile scorso e compresa  nell’evento EMBODIED RESILIENCE curato da Eleonora Farina e Nico Lippolis . Una tavolata composta dall’artista in cui i commensali apparivano tutti vestiti uguali in nero con camicia bianca e cravatta nera. low-IMG_4352-1024x683La disposizione è quella che conosciamo dalle performances di altri artisti già commentati su questo giornale in passato, un prospettiva lanciata dal ritmo di piatti e sedie scandita sul piano da vassoi di insalata a creare una variante. La similitudine, l’omologazione di abiti e stoviglie a un modello preordinato è alla base del significato del pasto, la cui regia è impeccabilmente asciutta. I convitati, senza spiccicar parola tra di loro, consumano il brodo succhiando ciascuno con il proprio vigore per sottolineare la propria individualità, una differenza che però, nell’azione collettiva, sovrapponendosi l’una all’altra, diventa confusione, fruscio, anzi una sorta di risacca marina. L’azione porta così tanto fuori il suono dalla scena da attivare uno spaesamento, sicché quel che vediamo non è più quel che sentiamo, meglio: se ad esempio, chiudiamo per un attimo gli occhi ci troveremmo su una battigia ascoltando lo sciabordìo delle onde. Quando invece riconnettiamo il suono alla visione, ricomponiamo il quadro risanando la frattura con l’immagine secondo una logica associativa che ha del surreale. Sinceramente non ho mai capito se il brodo si beve o si mangia, mentre ho adesso abbastanza chiaro come l’arte possa far leva sul suono per dar nuovo statuto alla visione, e come l’arte sia in grado di assumere il cibo come strumento per la rappresentazione. Filippo Berta, quale regista della performance, interpreta la suzione del brodo come l’unico segno distintivo della persona quasi come un gorgoglìo dell’unico responso della modernità “liquida” che, ironia a parte, designa all’azione programmata dall’arte la funzione di commento critico all’omologazione.  In definitiva, l’arte ha ormai acclarato il suo rapporto con il cibo non solo per il suo potenziale relazionale ma anche come materiale di esecuzione, così come un tempo lo era il colore o la pietra.

EMBODIED RESILIENCE curato da Eleonora Farina e Nico Lippolis ha visto oltre alla performance di Filippo Berti anche quella di Davide Anni, Anca Benera e Arnold Estefan;  Márcio Carvalho; Cristian Chironi, Diego Cibelli;  Kate Gilmore;  Mocellin e Pellegrini; lrike Mohr e Lisa Stertz.

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