Scultura all’olio d’oliva

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Joseph Beuys, foto tratta da www.artribune.com

Bolognano è una cittadina del pescarese situata a 270 metri d’altitudine sulla valle del fiume Orta che con i suoi gorgoglii racconta a valle ciò che succede a monte, scivolando sotto il ponte romano del “Luco”. Qui visse gli ultimi anni di vita uno dei massimi artisti del secondo Novecento, il tedesco Joseph Beuys (1921 – 1986) che lì arrivò dopo aver conosciuto i Baroni Durini, Buby e Lucrezia De Domizio, alle Seychelles. Nelle isole africane Beuys stava piantando delle palme seguendo una logica che prevedeva l’utilizzo dell’agricoltura a fini creativi, un’azione incentrata sulla difesa della natura. Il valore etico del lavoro artistico di Beyus fu fondamentale per la nascita della coscienza ecologista in Europa, egli fu infatti uno dei fondatori dei Verdi in Germania. Tratto in salvo da una tribù di tartari in Crimea dove era caduto con il suo Stuka nel ’43, Joseph ebbe da quell’episodio una serie di suggestioni sul valore magico delle azioni degli stregoni tartari e sui materiali. il grasso e il feltro, utilizzati per salvarlo dal congelamento. Questi materiali da lì a poco divennero i due elementi essenziali per il suo lavoro di artista. Beuys rappresenta per l’arte contemporanea il passaggio fondamentale dei significati dell’opera d’arte dalla forma al Logos, cioè alla parola, vettore di pensiero che lui usò come un predicatore per strutturare la sua scultura sociale. Per questo uomo magro che girava con un cappello di feltro grigio e un giubbetto da pesca smanicato, ogni uomo, infatti, poteva contribuire a costruire una grande opera d’arte collettiva solamente dando libera via alla propria creatività, l’arte era quindi il vero capitale umano che riassunse, in tedesco, nella formula Kunst = Kapital. A Bolognano Joseph Beuys concepisce e realizza un’opera d’arte con le vasche di decantazione per l’olio dei Durini, cinque opere, cinque come i continenti della Terra e le dita della mano. Chiudendoli con una lastra di arenaria le sculture sono dei pesanti parallelepipedi di pietra scavata da mani antiche, appunto, il cui tappo di pietra è immerso nell’olio d’oliva. L’olio nutre la pietra, in un bagno rituale la lucida come uno specchio, che riflette il mondo sospendendo in un profumato bagliore la gravità del materiale mostrando il blocco minimale nelle varianti superficiali delle sue facce che, all’incidenza della luce, rispondono muovendosi in cangianti cromatismi. L’olio e il vino, come la pietra, il feltro e il grasso indicano calore, magnetismo e interpretano il flusso energetico della natura. Olivestone, questo è il titolo dell’opera del 1984 fa parte dell’operazione artistica di Beuys intitolata “Difesa della Natura” fatta del dialogo tra durezza lapidea della ragione, dell’ordine e della morte e caos della vita il cui calore rianima l’immota geometria di questi sarcofagi di arenaria vecchi di almeno tre secoli. La terra stessa da cui proviene il materiale fu per Beuys quella di Bolognano, una terra che popolò di piante in via d’estinzione piantando, come fece a Kassel anni prima, 7000 querce. Un gesto simbolico che questo sciamano contemporaneo accompagnava col dire che: “non siamo noi a piantare gli alberi ma sono gli alberi a piantare noi”.

La foto di copertina è tratta da www.darsmagazine.it

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