Saluti da Suino

Fashion-Show
Peter Fischli and David Weiss (Swiss, born 1952 and 1946), Fashion Show, from The Sausage Photographs, 1979, Chromogenic print, 19-5/8 x 27 1/2″, © Peter Fischli and David Weiss / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York.

Si potrebbe chiamare Suino l’ipotetico villaggio lacustre da dove Peter Fischli (8 giugno 1952) e David Weiss (21 giugno 1946 – 27 aprile 2012) spedirono questa cartolina nel 1979. I due artisti svizzeri hanno sempre avuto voglia di scherzare sulla seriosità dell’arte rivoluzionando il linguaggio della scultura sino a portarlo alla completa disarticolazione. Fischli e Weiss si sono distinti nel mondo dell’arte proprio per aver salvaguardato quello spirito dadaista che proprio in Svizzera nacque cent’anni, di loro oggi sono famose le catene precarie di oggetti, tenuti artatamente sospesi tra mondo dell’immagine e processo di disgregazione (The way Things go, 1986 -87) così come queste composizioni di salumi, esilaranti e al contempo malinconici tentativi di far sopravvivere un genere, il paesaggio, anche a costo di dissacrare la sua aderenza al vero. La finzione qui assume un aspetto che travalica la semplice beffa. Trapela dal chiaro intento ludico una profonda riflessione sul legame tra transitorietà del materiale e immagine imperitura della scultura, sulla misura spaziale della visione che per la fotografia è racchiusa nel contesto obbligato della cornice mentre per la scultura sottostà alla scelta di uno sguardo.

Sausage Photographs nacque come un capriccio e divenne, di fatto, il loro lavoro d’esordio. Foto create nel chiuso della casa di Weiss e allestite con ciò che c’era a disposizione. Nasce così una sfilata di moda, un incidente stradale, una città del futuro persino l’affondamento del Titanic. Se per questi due artisti parlo di scultura c’è un motivo. Negli anni Settanta Fischli & Weiss si muovono in un ambito culturale che predilige la smaterializzazione dell’opera d’arte avviata alla fine del decennio precedente dall’arte concettuale e, se vogliamo, incrementata da quella che si definisce Process Art. La semplificazione delle forme, che passano dalla rigidità delle scatole e dei cubi del Minimalismo a mucchi di materiali grezzi, fa sì che per scultura si intenda sempre più il suo farsi nel tempo, sempre meno il suo insistere nello spazio come oggetto già fatto, eseguito. In poche parole in quegli anni la scultura era un termine in disuso rispetto alla sua accezione comune e tradizionalmente intesa in senso “plastico”. La gravità, la fluidità, la combustione, la volatilità dei gas sono questi gli elementi scultorei non la pesantezza del marmo, la fusione del metallo, la saldatura del ferro e la cristallizzazione delle resine. Insomma i due svizzeri si chiedono come si poteva restituire alla scultura la dignità della statua quando questa era stata destituita come linguaggio legittimo dell’arte. La risposta sta nel cibo, materia digeribile e seducente, destinata a una sparizione che inizia dal suo aspetto. La mortadella, il salame, il culatello mostrandosi nella loro solidità, preannunciano il loro destino promettendo un piacere. Allo stesso modo un monumento attraverso la forma ricorda un’impresa che trasuda virtù ma che si attualizza una volta diventata condotta da perseguire, come dire che la mortadella sta al piacere come Garibaldi al coraggio. A parte gli scherzi, Fischli & Weiss ripristinano un legame con la cultura plastica con un sorriso e, senza optare per un ripristino dell’oggetto, si muovono in quella che i critici hanno definito Nuova Scultura. Rasentando il feticismo, la scultura passa per la finzione esplicita del set fotografico, per cui ogni manipolazione avviene sotto una sapiente regia sempre attenta a non scadere nella sterile burla e a non scivolare nel virtuosismo stucchevole, in modo da non dare un’immagine, e qui è proprio il caso di dirlo, affettata.

Immagine in evidenza: Peter Fischli and David Weiss (Swiss, born 1952 and 1946), In the Carpet Shop, from The Sausage Photographs, 1979, Chromogenic print, 19-5/8 x 27-1/2″, © Peter Fischli and David Weiss / Courtesy Matthew Marks Gallery, New York.

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