Palazzone: la consapevole armonia fra territorio e tempo

La macchina procede moderatamente spedita, scivola su una strada familiare, padroneggia la sinuosità del percorso. Lo sguardo è meno attento, si affida alla memoria più che alla scoperta, cerca conferma più che meraviglia in una sensazione domestica e confortante. Anche quando all’orizzonte si scopre la rupe, l’abbraccio dei tetti e delle case intorno al Duomo che sembra con le sue guglie alzare le braccia al cielo, quasi a sottrarsi da quella stretta per sottolineare la sua imponenza, anche allora ci sentiamo sicuri. Siamo all’interno di un percorso in cui ci aspettiamo la bellezza del paesaggio, cerchiamo i segni e le tracce di ciò che è conosciuto e che amiamo. Perché qui è dove sono segnati i confini amministrativi, ma non di colori e forme tra  l’Alta Tuscia e l’Orvietano.

Il Palazzone

Svoltiamo verso Rocca Ripesena e lasciamo Orvieto a controllare le nostre mosse dalla sua posizione rialzata. Appena la strada curva, ci troviamo sulla destra il vigneto che cavalca la collina trasformandola in  una grande onda verde. Al centro il Palazzone da cui prende nome l’azienda, luogo da sempre dedicato all’accoglienza: oggi come elegante agriturismo, un tempo, presumibilmente già dal 1300, come ostello per viandanti e pellegrini.  Giovanni Dubini arriva poco dopo di noi. Gentile, ma non affettato, concreto, ma al tempo stesso capace di gestire una sua naturale spinta verso il pensiero astratto, Giovanni mostra subito una solida conoscenza del territorio e delle tecniche vitivinicole che  lo rendono un personaggio estremamente interessante per capire questa zona felicemente vocata all’allevamento della vite.

Carlo Zucchetti e Giovanni Dubini

“La mia famiglia è originaria di Lecco, mio padre era impiegato in una ditta che lavorava l’alluminio, il suo settore si occupava in particolare della fabbricazione dei tubetti per dentifricio. Ricordo ancora come da una pastiglia d’alluminio per estrusione si ottenesse il tubetto che poi arrivava, insieme ad altri, alle operaie per l’avvitamento manuale dei tappi. Poi, alla fine degli anni ’50, quando la Palmolive, di cui eravamo fornitori, aprì il suo stabilimento vicino Roma, ci trasferimmo ad Anzio. Nell’inverno del 1968 i miei vennero a Orvieto insieme a una coppia di amici che stavano cercando di comprare una casa in zona. Capitarono anche qui dove, all’epoca, c’erano due poderi a mezzadria, in uno stato di semi abbandono. Mio padre rimase fortemente colpito, tanto che riuscì a vincere le perplessità di mia madre e nel 1969 acquistarono la proprietà. Iniziò la ristrutturazione

delle case coloniche, la sistemazione delle strade, i nuovi collegamenti fra i due poderi, e un ripensamento delle coltivazioni.” Intanto le guglie del Duomo di Orvieto, in lontananza, solleticano il  cielo carico di blu. “Mio padre ha piantato la prima vigna nel 1971 e ha continuato fino al 1976 per un totale di 18 ettari di vigneto. All’epoca, tra l’altro, c’erano degli incentivi per la vite che permisero a tutta la zona di rafforzare la sua vocazione colturale. Noi in quel periodo, ed è stato così fino alla fine degli anni ‘70, conferivamo alla Cantina Sociale. Poi più o meno nel ‘76 mio padre che trovava assurdo avere i vigneti e dover comprare il vino, chiese a Marco Monchiero, enologo di grande pregio che lavorava alla Bigi, dei consigli per poter iniziare a vinificare. Il nostro primo vino arrivò nel 1978”.

Per l’agricoltura in generale è un momento di grandi trasformazioni, una sempre maggiore meccanizzazione, nuove tecniche, ma soprattutto l’evoluzione da un’agricoltura tradizionale a quella specializzata.

“Quando nel 1984 mio padre è morto, io e mio fratello Lodovico abbiamo cercato di capire come volevamo andare avanti. Nel 1987 abbiamo deciso di fare una nuova cantina e di vinificare l’intera produzione, nel 1992 abbiamo impiantato altri 6 ettari di vigneto e abbiamo iniziato a pensare al reimpianto di quelli esistenti partendo da esigenze e criteri diversi”.

Carlo: “Che tipo di terreno hai qui?”

Giovanni Dubini e Carlo Zucchetti

Giovanni: “Rocca Ripesena, è una zona molto particolare, il terreno è argilloso di origine sedimentaria, i vigneti  sono esposti a nord-est, cosa che permette di mantenere una certa freschezza, l’importante è tenere il terreno lavorato. Personalmente sono contrario all’inerbimento. La cosa fondamentale per fare un buon vino è conoscere le caratteristiche del proprio territorio e ovviamente del proprio lavoro. Operando nel mondo del vino ho capito che in questo campo tutto è già stato detto e scritto, è difficile inventare cose nuove è invece opportuno dare nuove interpretazioni a quello che c’è già. Se si vuole operare nel mondo enoico bisogna prendere consapevolezza che i tempi del vino sono lunghissimi, spesso comprendono più generazioni, ognuno di noi si inserisce in un tratto di questo percorso millenario. Il nostro è un lavoro che più di altri richiede una scelta e una passione perché spesso si tracciano strade di cui, per limiti imposti dal nostro tempo biologico, non vedremo la meta”.  Giovanni ha quello strano modo di essere riservato di chi non per timidezza, ma per concretezza si rivela a poco a poco. È una persona che lascia trasparire lentamente una profonda consapevolezza e preparazione professionale, dalle sue parole si coglie una saggezza che si è presa il rischio dell’errore.

Carlo continua la sua indagine sulla longevità dei bianchi: “Il Campo del Guardiano esce dopo 2 o 3 anni, anche Il Terre Vineate abbiamo potuto verificare che ha una longevità interessante: lo scorso anno abbiamo assaggiato un 1995 di grande complessità  nella serata di Per Bacco a Civitella d’Agliano dedicata ai bianchi da invecchiamento: che cosa rende un bianco longevo?”

Giovanni: “Il terroir.  Questa è una zona particolarmente vocata per i bianchi da evoluzione e più in generale per la vite. Il terreno  argilloso di origine sedimentaria della Rocca Ripesena. quello vulcanico dell’Altopiano dell’Alfina hanno sempre ospitato vigneti. Sono 2500 anni che qui si fa il vino, tante cose sono cambiate, ma il territorio rimane la costante a cui fare riferimento, che dovremmo tenere in maggiore considerazione. È questo territorio, particolarmente adatto all’allevamento della vite,  che ha dimostrato grandi potenzialità, e dovrebbero essere sfruttate meglio. Si dovrebbe puntare di più sul vino e sulla sua capacità di fare da traino economico sia in senso stretto legato al comparto sia come attrazione turistica”.

Carlo: “Sia a livello di comunicazione che a quello più specificamente agronomico è fondamentale rintracciare gli stretti legami tra colture e territorio. L’importanza del vino di Orvieto ha lasciato molte testimonianze storiche, tra l’altro anche riguardanti uno dei suoi capolavori simbolo: il Duomo. Leggevo, infatti, del contratto di lavoro stipultato nel 1500 da Luca Signorelli per la realizzazione degli affreschi del Duomo, dove il pittore richiede 12 some (1000 litri) di vino all’anno”

Palazzone sarà presente questo fine settimana a Nelle Terre del Grechetto a Civitella D’Agliano, sia nel percorso enoico che nelle degustazioni guidate. Il Grechetto è protagonista di una serie di iniziative che tentano di approfondire l’importanza e il senso di investire su questo vitigno, è uno dei progetti a cui Carlo sta lavorando: “Per il nuovo Disciplinare hai dovuto aumentare la percentuale di Grechetto nell’Orvieto Classico come ti sei trovato con questo cambiamento?”

Giovanni:”In realtà non sono d’accordo con questa variazione del Disciplinare che a parer mio deriva da un errore di interpretazione di fondo. Si è deciso di aumentare la percentuale di Grechetto analizzando i vari vitigni dell’Orvieto, vivisezionandoli, senza tenere nella giusta considerazione che si tratta di un vino che storicamente era stato pensato con vitigni complanari in cui ogni vitigno porta qualcosa. La longevità la dà il Procanico, mentre il Grechetto è sicuramente espressione e sintesi della storia della viticoltura del Centro Italia”.

Carlo: “I tuoi vini sono frutto di vinaggio o uvaggi? Vendemmi separatamente?”

Giovanni: “Il Campo del Guardiano è un singolo vigneto di piante più vecchie locato su siti ricchissimi di argilla”. 

Carlo chiede dei progetti futuri e Giovanni ribatte: “Trasferirmi in India non appena i miei figli, Benedetta, che ha una solida formazione giuridica, e Pietro, che ora frequenta enologia a Udine, riusciranno ad occuparsi dell’azienda. Come sai sono 7 anni che andiamo in India con mia moglie Cristiana, qualche volta anche con i nostri figli. Ci torneremo a Natale. L’India con i suoi tempi per noi occidentali ormai improbabili, con il suo essere l’Altrove, con le sue mille realtà che si sovrappongono mi sembra un buon progetto per il futuro. In tempi e spazi  più vicini sto cercando di fare un vino dedicato alla Grotta, la nostra prima cantina, che in realtà era una tomba etrusca. 3-4 anni fa ho impiantato un angolo di vigneto mescolando verdello procanico malvasia. Voglio provare a vinificare come un tempo, con il torchio a mano, nei tini di castagno”.  

Poi il discorso passa ai vini naturali. Giovanni: “Molto spesso le persone non hanno avuto la possibilità e la capacità di assaggiare e si affidano troppo alle mode o a pareri un po’ superficiali. Ma l’oggettività di base di un vino per me è un assunto imprescindibile: i difetti sono e rimangono tali. Probabilmente noi produttori abbiamo esagerato nel recente passato, forse abbiamo utilizzato troppa tecnologia, forse troppi lieviti selezionati, ed è vero che c’è stato un periodo in cui i vini si assomigliavano tutti. Ma la strada giusta è nel mezzo”. Carlo, reduce da una piccola divergenza di vedute con un giornalista di Slow Wine che mostrava  entusiasmo per un “vino naturale” manifestamente ossidato, rimarca: “Fare “vini naturali” buoni è possibile, ma devono essere esenti da difetti. Il fatto di essere “naturali”, e bisognerebbe capire bene cosa intendere con “naturale” parlando di vino (che è un prodotto e in natura non esiste), non può giustificare l’ossidazione o l’acetica alta. Più si vuole fare a meno della tecnologia ed essere “naturali” e più bisogna conoscere esattamente i processi e il loro funzionamento, insomma bisogna prima padroneggiare la grammatica per arrivare a una buona sintassi, a un discorso articolato e corretto che a quel punto può cercare il proprio stile per  raccontare il territorio.”

Giovanni ci porta a vedere la Grotta, la sua auto si inerpica credendo di essere un fuoristrada e ci conduce in questo angolo di freschezza. La vegetazione non addomesticata del bosco domina e  fa da contrappunto a quella più in basso, geometricamente ordinata delle viti. Siamo di fronte all’armonico contrasto tipico di questo straordinario territorio e viene voglia di organizzare al più presto una bella degustazione en plein air, o forse meglio una merenda…

 

 

 

 

 

 

Loc. Rocca Ripesena, 68
05010 Orvieto (TR) Italy
Tel. +39 0763 344921
Fax +39 0763 394833

www.palazzone.com
info@ palazzone.com

Su prenotazione è possibile visitare la cantina

I vini

Grek I.G.T. Grechetto Umbria Bianco  (Grechetto)

L’Ultima Spiaggia  IGT Umbria Bianco (Viognier)

Orvieto Classico Superiore DOC Terre Vineate (Drupeggio, Grechetto, Malvasia, Procanico, Verdello)

Orvieto Classico Superiore DOC Campo del Guardiano (Drupeggio, Grechetto, Malvasia, Procanico, Verdello)

Armaleo IGT Umbria Rosso  (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon)

Piviere IGT Sangiovese Umbria (Sangiovese)

Rubbio IGT Umbria Rosso (Cabernet, Merlot, Sangiovese)

Muffa Nobile IGT Umbria Bianco (Sauvignon)

 

 

 

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