Osteria dell’Unione di Treiso, dove iniziò il sogno di Slow Food

Gli anni dei fast food, delle pennette alla vodka e del cocktail di gamberi sono stati anche quelli in cui è maturata una nuova consapevolezza rispetto al cibo da cui si è sviluppato il pensiero del Buono, Pulito e Giusto di Slow Food che contrapponeva la lentezza alla frenesia di quegli eccessivi, edonistici anni ’80. Sono gli anni del cosiddetto Riflusso, caratterizzato da un ripiegamento verso la sfera privata, dal disimpegno civile e politico e da un dilagante rampantismo individualista e miope. Così mentre  il resto d’Italia munito di sproporzionate spalline brindava con un Lancers davanti al risotto allo champagne, in un piccolo angolo delle Langhe compreso tra Bra e Alba c’erano altre idee in ebollizione. Persone che guardavano a questo avanzare inarrestabile di panna e maionese con una certa preoccupazione non solo per il proprio fegato, ma anche e soprattutto per la realistica minaccia di una progressiva e incontenibile perdita di memoria gastronomica locale. Che era l’allarmante dimostrazione di una società in crisi di identità. Così  da quel piccolo manipolo di case che è Treiso, compreso nella D.O.C.G. del Barbaresco, parte lenta, ma inesorabile la rivincita del buon cibo, della riscoperta della cucina di tradizione, delle piccole produzioni tipiche, della salvaguardia del paesaggio. Inizia dunque una riflessione sui significati dell’atto agricolo e sul mangiare, tematiche su cui solo in pochi si erano soffermati fino a questo momento.  Il luogo dove tutto questo diventa costruttiva discussione è l’Osteria dell’Unione quando ancora non è osteria, ma è il ritrovo per la Libera e Benemerita Associazione degli Amici del Barolo, poi sede del circolo Arci Langhe. È il 1981 e nel locale si vendono prodotti enogastronomici della zona per fare cassa  e poter finanziare iniziative volte al recupero e mantenimento delle tradizioni come la rassegna  di musica tradizionale Cantè j’Euv.

IMG_7289Pina Bongiovanni e Beppe Marcarino proprietari del locale si riuniscono insieme a Carlo Petrini e altri amici. Si confrontano, parlano, mettono al centro il piacere conviviale. Da qui nascerà nel 1986 l ’Arcigola e prenderà avvio il progetto che ha cambiato il mondo dell’enogastronomia: Slow Food. Carlo Zucchetti mi racconta di alcune di quelle serate con il trasporto di chi sa di aver preso parte a un momento storico significativo : “Si trattava di rimettere al centro del discorso il mangiare e questo portava ad altri temi forti come l’ecologia e la sostenibilità. Da qui a qualche anno sarebbe scoppiato lo scandalo del vino al metanolo  con la successiva tremenda crisi del comparto. Era marzo 1986, ad aprile dello stesso anno risale il disastro di Chernobyl e sempre nell’86 arrivano i Fast Food, i barbari della gastronomia come li definì Portinari che poi stilò il manifesto di Slow Food. Erano segnali inequivocabili della necessità di una riflessione più profonda.  Bisognava puntare  alla qualità e a una crescita di saperi. Il dibattito era alimentato da personaggi come appunto Folco Portinari, Nuto Revelli ed Elio Archimede.

C’era una grande spinta propulsiva in queste terre, grande voglia di studio e di confronto, si guardava con interesse alla Francia, si facevano spedizioni in Borgogna per apprendere sistemi di vinificazione e conservazione. Questi sono gli anni dei  Barolo Boys, un gruppo di amici piccoli produttori che innesca una rivoluzione nel mondo enoico italiano,  fa delle Langhe quello che sono oggi e  del Barolo e Barbarbaresco un vino conosciuto e amato a livello internazionale. Venivano da Pina e Beppe, dove si assaggiavano i vini, si degustavano i cibi, si giocava con gli abbinamenti.

E anche io la prima volta che venni in Langa andai da Beppe e Pina per incontrare Gigi Piumatti, Carlo Petrini, Giorgio Rivetti. Quelli erano gli anni del Riflusso, si cercava un nuovo impegno e soprattutto si cercava di recuperare i legami con il territorio che la politica aveva perso. A ottobre del 1982 usciva a Milano la rivista la Gola, ideata dal grafico Gianni Sassi e da un gruppo di intellettuali tra cui Antonio Porta, Alberto Capatti, Folco Portinari, Antonio Piccinardi, Nanni Ballestrini, Antonio Attisani. La Gola aveva aperto una discussione sul mangiare che ci appassionava e volevamo portare queste tematiche anche a Montefiascone, per questo ero venuto in Langa.  Da lì a poco, infatti,  riuscimmo a organizzare il primo corso di degustazione  che fu tenuto da Sandro Sangiorgi, Daniele Cernilli e Stefano Milioni, peraltro della Tuscia,  autore dell’Atlante del Vino.

È stato un momento di grande fermento. In quelle bellissime serate all’Osteria dell’Unione si ricercavano le nostre radici culturali e si gettavano le basi di un modo più consapevole di avvicinarci al cibo e al vino”.

Tutto questo pullulare di idee e la voglia di operare un concreto cambiamento porteranno il 27 luglio del 1986 alla nascita di Arcigola che condurrà a Slow Food.  Da congresso di fondazione  Carlo Petrini viene eletto presidente, Silvio Barbero vice presidente, e saranno affiancati da un consiglio di governatori composto da Elio Archimede, Stefano Bonilli, Caro Gabrielli, Antonio Gasparro, Guido Pirazzoli, Graziano Pozzetto, Sandro Sangiorgi, Pierlorenzo Tasselli, (prematuramente scomparso qualche giorno fa), Galdino Zara e Carlo Zucchetti. Quello stesso anno sull’onda di questa esperienza e del rinnovato interesse per l’enogastronomia  come  cultura materiale usciva Il Gambero Rosso, supplemento mensile al Manifesto, ideato e diretto da Stefano Bonilli.

Noi stiamo andando proprio all’Osteria dell’Unione per respirare dalle parole di Beppe e Pina l’entusiasmo di quei momenti. Tutto intorno i filari geometricamente ordinati delle viti disegnano un paesaggio dolce, aperto e rasserenante interrotto da poche case sparse e da qualche piccolo borgo. Le sfumature di verde si alternano ai rossi scuri e marsalati denotando un cambio di vitigno. L’aria è serena e nella piccola Treiso il silenzio è sospeso raramente dal rumore di qualche mezzo.

Beppe e Pina ci aspettano emozionati fuori dall’Osteria dell’Unione. È passato un po’ dall’ultima volta che hanno visto Carlo e l’affetto viene tradito da un abbraccio commosso.  Si parla dei figli,   Marco,  Roberto, Patrizia che è a Pocapaglia,  Fabio che gestisce l’Osteria insieme alla moglie Rezarta Fino detta Rezi.  Lei albanese che a forza di seguire Pina in cucina  si è innamorata dell’arte culinaria e delle ricette piemontesi.  Seduti nella sala dietro l’Osteria, Pina racconta di questo posto vocato da sempre all’accoglienza e ai piatti della tradizione. Il locale  infatti esisteva già negli anni ’30, era di suo padre Cesare  e qui veniva a mangiare il padre  di Oscar Farinetti in tempo di guerra. E come nelle osterie dell’epoca ci si veniva non solo  per  mangiare,  ma per  giocare a carte e bere. In cucina la madre di Pina preparava i piatti e  lasciava un’eredità preziosissima di saperi, di ricette, di antichi sapori delle Langhe. Poi il locale rimase chiuso qualche anno finché Carlo Petrini non ne fece un punto di riferimento del Circolo Arci Langhe. Pina rispolvera le ricette materne e prepara il suo famoso coniglio, poi i tajarin, il capunet  e altri piatti che parlano di questo territorio. Non ci vuole molto perché la richiesta di qualcosa da mangiare vada a completare le serate di discussione in quel circolo effervescente: “Abbiamo cercato vecchi tavoli, sedie del falegname e quello che poteva servire per accogliere gli ospiti” Si iniziano a servire anche i salumi preparati da Beppe e piano piano prende forma l’Osteria dell’Unione. I piatti di Pina sanno raccontare di una cucina autentica, profumano di convivialità,  risvegliano al palato la memoria dei luoghi. Il successo è immediato.  Ed è qui che matura l’idea della grande rivoluzione del mondo enogastronomico: Slow Food, Movimento per la tutela e il diritto al piacere, qui si stila il manifesto che sarà firmato a Parigi  il 10 dicembre  1989.

IMG_7295Contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia, [a cui] proponiamo il vaccino di un’adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento… contro l’appiattimento del Fast Food riscopriamo la ricchezza e gli aromi delle cucine locali. Se la Fast Life in nome della produttività ha modificato la nostra vita e minaccia l’ambiente e il paesaggio, lo Slow Food è oggi la risposta d’avanguardia  si legge nel Manifesto Slow Food.

E a Parigi c’è anche Pina Bongiovanni con i suoi famosi agnolotti al plin.

In quegli anni l’Osteria dell’Unione diventa un punto di riferimento per chi passa nelle Langhe, bisogna prenotare con 3 mesi di anticipo per gustare  i tajarin burro e salvia, il coniglio ai peperoni e i piatti della tradizione langarola. In cucina arrivano anche Patrizia e la cognata Claudia che  rilevano la trattoria, poi alcune cose cambiano, ma l’Osteria dell’Unione è sempre lì, in cucina oggi c’è Riza con la sua passione e con il ricettario e i consigli di Pina.

25412_335941005842_2668344_nA tavola, davanti a un piatto di agnolotti al plin Pina e Beppe  raccontano di quei tempi con la dolcezza venata di nostalgia di chi non si rammarica per il tempo andato, ma per quello dimenticato. È  paradossale, infatti, non vedere neanche segnalata l’Osteria dell’Unione nell’elenco delle Osterie d’Italia di Slow Food.

Osteria dell’Unione

via Alba, 1

Treiso (Cuneo)

Tel. 0173 638303

Fb Osteria dell’Unione

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