Mangiami tutta!

La storia d’amore tra corpo e cibo va dalle similitudini bibliche ai succosi banchetti libertini da Boudoir, dai bizzarri accostamenti surrealisti alle banali seduzioni della pubblicità, è una storia lunga che oscilla tra poesia e volgarità, esaltando talvolta la contiguità con la natura, tal altra il più sprezzante artificio fino al torbido abisso dei sensi. Non si tratta mai di uno scontro, semmai della ricerca indefessa di un raccordo tra piaceri sino all’ebbrezza che mescola e confonde in un amplesso sessualità e bisogno, finché un unico nutrimento esalta e angoscia, quasi a resuscitare dal profondo l’ancestrale virtuosismo della vita. Nel maggio 1928 esce,  sul primo numero della brasiliana Revista de Antropofagia, il “Manifesto Antropofago” a firma di Oswaldo de Andrade.  Poeta brasiliano, De Andrade cercava di riscattare la subalternità del “selvaggio” sudamericano nei confronti del civilizzato mondo occidentale attraverso il gesto estremo del cannibalismo. Piano, non ci impressioniamo, siamo lontani dai grand guignol alla Hannibal Lecter, il poeta usava la metafora del mangiatore di uomini per agganciarsi a un più acuto risveglio dell’istinto primordiale di rivalsa, secondo il quale il “buon selvaggio” di Rousseu sarebbe diventato il ribelle di una rivoluzione caraibica che spogliava l’essere per abbattere l’ostacolo tra interiorità ed esteriorità facendo del tabù un totem. De Andrade sarà l’ispiratore della performance dell’artista brasiliana
(1920 – 1988) del 1973 intitolata, guarda caso, Baba Antropofágica . Clark-Lygia-Baba-antropofagica-73-2La già grandicella Lygia, secondo il suo programma di azioni denominato Collective Body si offriva nuda coperta di spaghetti ai commensali, i suoi studenti di corso della Sorbonne. “Spaghetti in-piattati su donna nuda sdraiata” questo il menù.  Un banchetto erotico e un convegno intellettuale si fondono in  un rito metonimico dove mangiando un “piatto di spaghetti” si mangiava Lygia. La Clark era partita da una pittura astratta che prendeva le mosse dal razionalismo moderno, importato in Sud America dall’artista Bax Bill. Già nel 1959 Lygia si libera della pittura e della scultura di stampo europeo che aveva caratterizzato la sua produzione artistica sino allora e pubblica a Rio de Jeneiro Neo Concretist Manifesto in favore di un’opera che sia simile a un organismo vivente. Concentrata sul superamento del contrasto tra sessualità culturale e sessualità naturale, Lygia Clark è stata la sacerdotessa di un’estetica tutta tropicale, che mette al centro la cura del corpo come ci ricorda il filosofo Mario Perniola, che proprio in Brasile ha insegnato. Il corpo, per Lygia, sostituiti i pennelli dei dipinti e i materiali della scultura diventa il mezzo per metter in relazione arte e vita, come si  può vedere nel  film del 1973 prodotto da Plug e girato da Eduardo Clark dal titolo emblematico The world of Lygia Clark. Ma l’artista brasiliana va oltre, le sue azioni tendono a mettere in relazione i partecipanti, il pubblico che si fa vero corpo dell’opera dando significato con la loro azione a una scultura collettiva, e se ci pensiamo il gusto di un pranzo non serve tanto a dissiparsi in una buona digestione, ma si perpetua e risuona nei giudizi dei commensali.

 

Ti piace questo articolo?

Condividilo su Facebook
Condividilo su Twitter
Condividilo su Linkdin
Condividilo su Whatsapp


Spazio disponibile

Per la tua pubblicità in questo spazio contatta advertising@carlozucchetti.it

Ultimi articoli


Spazio disponibile

Per la tua pubblicità in questo spazio contatta advertising@carlozucchetti.it

Iscriviti alla Newsletter di Carlo Zucchetti