Invito a nozze con Bruegel

Perché scrivere di cibo e cucina, di vino e scorpacciate, di pranzi e di cene, ma anche di semplici frutti e pietanze nell’arte? Perché è divertente e poi perché, come diceva Jean – Claude Passeron, a concorrere al valore delle opere d’arte sono processi sociali e tratti culturali da identificare con una specie di sociologia dell’arte che mischia la descrizione antropologica al relativismo della regola critica, insomma, una ricetta culinaria per lo sguardo.

Detto questo, vi voglio parlare di un gran quadro, di un’opera celeberrima e riprodottissima: Le nozze contadine dipinte da Pieter Bruegel nel 1568 o giù di lì. Non è chiara la data d’esecuzione come non lo è la data di nascita di Bruegel il “Vecchio”, si pensa sia nato intorno al 1525, ciò significherebbe che le nozze sono una sua opera matura. Così è, infatti, dal punto di vista stilistico.

Anche in questo quadro, sostanzialmente, si mangia, e come si mangia!

Si strafoga lo sposo, che siede all’affollatissima tavolata nuziale, di fronte alla sua sposa rubizza e stolida, imbambolata, con la corona in testa, seduta al lato opposto, sotto un drappeggio verdastro appeso al muro dal quale pende la ciotola della fertilità, facile metafora del ventre materno e sul muro ci sono fasci di spighe, incrociate, a significare il fruttuoso amplesso coniugale. Tutto è in preda al fragore della crapula che sembra risucchiare la folla dalla porta, stretto budello sulla stalla aperta in fondo.

La prospettiva sembra piegata verso di noi e verso di noi, è rovesciato il piano della barella di portata che ci mostra i piatti di polenta e minestra quasi fossero saggi di tavolozza per l’intero dipinto.

Il “Vecchio” unisce il suo sguardo a quello del signore a destra, defilato, quasi allotrio rispetto alla massa mangereccia, è forse Pieter stesso questo spettatore ben vestito? Sicuramente questa figura anomala chiude la scena con un enigmatico silenzio anzi sembra resistere alla compressione dalla folla vociante dei commensali.

Dov’è il centro della pittura di Bruegel? Dove il suo meccanismo straordinario? È proprio davanti a noi, nel piano che ci propone i colori del cibo, in questa soluzione geniale di sinossi cromatica portata da due energumeni che sanno d’antico, dimostrando che colui che l’ha dipinti non è proprio un artista incolto. Bruegel, infatti è noto e apprezzato dalla raffinata borghesia emergente della neonata Olanda, terra del protocapitalismo, dove la borghesia sperimenta la moderna committenza. Bruegel sceglie di rappresentare la terra e i suoi prodotti, ossia i contadini che, come le scarpe di Van Gogh per Martin Heidegger, fanno dell’arte il medio termine tra essenza e verità.

La baraonda nella stalla delle Nozze viene trattenuta dai portantini, sono loro i pilastri di un’ architettura diagonale punteggiata di volti caratteristici, comici, talvolta grotteschi. I due energumeni portano il cibo in primo piano e in primo piano c’è il bere, la birra olandese che oltre a scorrere a fiumi alimenta la folla, anzi, sembra che quel flusso che, dal fondo, innanzi si riversa diventi d’un colpo birra. Il gran pittore, il “Vecchio”, mischia così commedia umana e simbologia. Prendete, al riguardo, il ragazzino sotto lo sproporzionato cappellone, forse è il futuro pargolo della coppia? Sicuramente sgranocchia nella sua animalesca separatezza il frutto di un furto, e poi, più indietro, quell’altro soggetto, il musico, vertice rosso della triangolazione perfetta del lancio prospettico la cui base è tirata dal cappello del bimbo fino alla giacca rossa del portantino, impennandosi sul copricapo studiato come un elmo antico, è una sfera rovesciata sul capo di quell’altro, accanto, che distribuisce i piatti agli ospiti. Questi colori sono saggi di sapienza cromatica così come il candore delle braghe e dei grembiuli delle tovaglie e dei fazzoletti in testa alle donne, candori di festa che lavano i toni terrosi dominanti. Le terrecotte e gli ocra, i bruni e i verdoni, tutt’intorno alla blusa celeste della figura centrale, colorano la festa del sudore dei campi.

Sì, perché di festa si parla, e l’occhio che la scruta, minuzioso e impietoso, è quello di un antropologo del XVI secolo, che coglie il significato laico, un Bruegel, notava Max Dvořák, che osservava la natura quale scaturigine di quella concezione della vita per cui i costumi popolari sono prodotti del suolo sul quale si vive, e sono conseguenza di determinate condizioni ambientali e sociali.

Nei Paesi Bassi, che si riscattano dall’iconografia cattolica anche a suon di iconoclastie, si fa strada una visione del mondo che premia il lavoro dell’uomo, non il mito e la celebrazioni dei potenti, una visione che da una parte racconta della nascente economia di mercato e dall’altra il ruolo delle masse, la loro saggezza proverbiale, di cui Pieter Bruegel “Il Vecchio” è secondo il geografo Abrham Ortelius pictorum sui seculi absolutissimum.

Le minestre di cereali e le polente di grano saraceno, ma anche l’uso di carne e grassi animali, incrementati quest’ultimi dalla Riforma protestante, sono esibiti dalla pittura di Bruegel nella loro la dignità quotidiana che schiva la posa, quando addirittura del tutto non la beffeggia, tipica della pittura di genere.

La birra che il mescitore versa a sinistra è forse lambic acidula bevanda di fermentazione naturale che ancora oggi si produce soprattutto in Belgio, così come tipici sono i vestiti, che infagottano i personaggi intorno alla sposa, quella che “siede con un sorriso soddisfatto sul volto idiota”, come l’ha definita il grande storico dell’arte Enest Gombrich.

Idiozia e goffaggine, nascondono però un senso morale che lega Pieter Bruegel al più visionario Bosh sebbene il nostro Vecchio stia sempre attento a tenere i piedi per terra.

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