Il Fabbro, le persiche e il vino

A Montefiascone a ridosso della “Porticella”, c’era la bottega dei “Fabbretti”. Due fratelli dagli occhi azzurri trasparenti, Corrado e Meco. All’ombra del centro storico, con la Cupola di Santa Margherita “per cappello” battevano e plasmavano ferro. Corrado era mio nonno. A Lui ho rubato gli occhi, la forma ed il colore. I miei più scuri, quasi che il nonno a questa eredità avesse aggiunto un tocco personale: renderli meno delicati, più avvezzi alla luce intensa. I suoi spesso si tingevano di rosa, per quanto utilizzasse maschere e occhialoni da saldatura, il calore intenso, il rosso delle braci, le scintille del ferro lo infastidivano terribilmente. ferro rovente

La nonna, la mamma mi tenevano lontana dalla bottega. Il lavoro del nonno era pericoloso, il luogo pieno di insidie per una bricconcella ficcanaso come me. I momenti in cui potevo rubare immagini del suo battere e forgiare erano ben pochi. Fugacemente, di passaggio mentre salivamo al piano sopra per andare a casa a trovare la nonna, oppure quando, in estate il nonno aveva “la gola secca”.

Dalla loggia della cucina arrivava la voce del nonno che da sotto chiamava la sua Giuliana “Giulià affaccete! E’ callo tanto! Portace l’vino co le persiche!”. Era il momento della “bibita”. La nonna, non senza qualche lagna, si dirigeva nella dispensa dietro la cucina e se ne usciva con diverse varietà di pesche da fare invidia ad un orto botanico: ne aveva di rossissime, verdoline e rosa, pelosine o lisce, piccole e grandi, mature e non. Mi parlava informandomi sulla varietà e la provenienza. C’erano quelle che gli aveva regalato la “zi’ cosa”, qualcuna colta dal nonno negli alberi “pazzi” (il suo modo per dire selvatici), quelle comprate perché il “fruttarolo” le aveva assicurato essere di prima qualità etc. In ginocchio sulla sedia, davanti all’acquaio potevo maneggiarle tutte, una ad una. Il mio compito era lavarle alle perfezione e togliere eventualmente il picciolo che sembrava un sassetto duro e secco. “Lava bene, che mica vanno sbucciate!”

Infatti la bibita era preparata con la pesca a spicchi o a tocchi e affogata nel vino bianco prodotto dal nonno. Bianco si fa per dire, ambra intensa, a cui la pesca a polpa gialla si “confondeva” e la bianca si “notava”! Le pesche lavate finivano in una ciotola colorata e la nonna armata di coltello le tagliava facendosi cadere i noccioli sul “sinale” (grembiule) che copriva la vestaglietta sopra alla gambe tenute larghe.

La “rassomigliavo” al druido Panoramix, che tante volte dalle pagine del fumetto di Asterix ed Obelix avevo visto preparare “la pozione magica”. Dosi di frutta e vino erano dettate dal contenitore, il bicchiere. Anzi il bicchierone. Alto, largo, trasparente, di vetro spesso, un po’ rigato. Riempito di pesca per il 70% e il resto di vino, che la nonna mesceva piano piano per dargli il tempo di scivolare per bene tra i pezzettoni e gli spicchi.

La cucina nella preparazione si riempiva di profumo, quello dolcissimo dei frutti e quello più pungente del vino. Pronta la pozione dissetante, scendevamo le scale, un bicchiere ciascuna. La nonna davanti a me, scendeva di traverso tentando di non perdermi mai di vista e assicurandosi che nemmeno una goccia venisse persa nel tragitto.  La mazza che batteva si faceva sempre più vicina, ed io già immaginavo il calore, l’odore a cui a breve sarei state esposta.fabbro che batte il ferro

Il nonno ci veniva incontro, si alzava la maschera, chiamava Meco e bevevano tutto d’un fiato, schioccando le labbra e finendo con un grande “aaahhhhhh” di soddisfazione. Le mani nere, nerissime, impossibilitate a pescare la frutta dal bicchiere, erano intente a scuotere, battere e sbattere per staccare i pezzi di pesca rimasti trattenuti, incollati al vetro. Testa reclinata, bocca spalancata a volte aiutandosi con la lingua ecco tutto il bicchiere pulito in pochi minuti.

Riconsegnati i bicchieri, più svelte, compatibilmente con gli acciacchi e i dolori di nonna si tornava di sopra.

La bibita aveva sortito il suo effetto l’intermezzo dissetante in una giornata rovente.

Nuovamente in cucina la “gola pelosa” (modo montefiasconese per nominare una persona golosa) di Giuliana, prendeva il sopravvento. Lei che dalle pesche voleva tutta la dolcezza possibile improvvisava un dessert.

Le pesche al vino “pelose” della Nonna Giuliana

pesche e vino bicchiereIngredienti:

6/8 pesche mature

Vino bianco secco q.b.

100 gr di zucchero

Preparazione:

Lavate bene le pesche. Fate bollire dell’acqua ed immergetele per 5/8 minuti. Scolate e senza farle raffreddare troppo sbucciatele e tagliatele a pezzi piccoli. In un recipiente unite lo zucchero e mescolate velocemente. Coprite il composto con il vino e lasciate macerare il tutto per qualche ora in un ambiente fresco.

Dopo il pasto con una forchettina la Nonna si dedicava questo dolce momento accompagnando le pesche al vino con dei biscotti secchi. A me, perché c’era il vino, mi inzuppava velocemente un paio di biscotti e ridendo mi diceva: “Nu’ lo di’ a nessuno che la nonna te fa mbriacà, tu di solo che te piaciono le persiche!”

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