Federico Barbarossa, da simbolo del potere imperiale a tiranno

La figura di Federico Barbarossa mi rimanda al lavoro di Giambattista Tiepolo nella Sala dell’imperatore della reggia di Würzburg il principe vescovo di Würzburg unisce in matrimonio 1hall2l’imperatore Federico Barbarossa e Beatrice di Borgona nel 1156, che insieme all’’Investitura del vescovo Herold infeudato del ducato di Franconia dall’imperatore Federico Barbarossa nella Dieta di Würzburg nel 1168, costituiscono la celebrazione degli antesignani del potere imperiale. Tiepolo nel 1752 decise di affrescare la scena in una specie di foro romano. La legittimità dell’impero, impersonificata da Barbarossa evidente negli attributi imperiali, è affiancata dalla Fama, da dignitari di corte e bandiere con l’aquila bicipite. In volo un putto brandisce la spada e a destra, emerge dal mare splendente Apollo, che accompagna sul cocchio del sole Beatrice di Borgogna al cospetto dello sposo. Li precede Imeneo con una fiaccola accesa , è il dio delle nozze celebrate al cospetto di Venere, Cerere e Bacco. Coadiuvato dal figlio Giandomenico l’ultimo pittore della grandeur italiana ricorda tra sbuffi e incipriati candori l’imperatore medievale. È forse più coerente invece il ritratto miniato sulla Welfenkronik conservato alla biblioteca di Fulda risalente al XII secolo. Qui il fulvo monarca è assiso tra i suoi due figli Enrico e l’omonimo Federico è assiso su un trono in un palazzo e serra tra le mani il globo e lo scettro dell’impero. La veste purpurea e la corona lo pongono in corrispondenza con la sua discendenza a destra e con la sua stirpe a sinistra, ossia due figure che indicano in sospensione ieratica la figura centrale. Il trio è coperto da tre archi che, per esser chiari, riportano sull’imposta i nomi dei personaggi.

Ma chi è in realtà Federico Barbarossa?

La storiografia spicciola che lo dipinge come il nemico delle libertà popolari è spesso frutto di una selezione congeniale alla propaganda, senz’altro fallace tralascia lo sfondo storico su cui si muove questa figura immortale. Già, proprio così, il Barbarossa finito con una morte che ricorda quella di Alarico si crede dorma nella montagna di Kyffhäuser pronto a risvegliarsi alla Fine dei Tempi come l’Anticristo. Federico morì di fatto travolto dalle acque del fiume Traso il 10 giugno 1190. Fu la fine di un imperatore settantenne che ebbe due vite una legata all’Impero, l’altra alle crociate. Siamo, come potete facilmente dedurre, nel XII Secolo e l’Europa affronta due fronti di guerra: uno interno tra il pappato e l’impero, l’altro esterno, in Terrasanta contro i saraceni di cui la figura del Saladino, sì proprio lui, il Feroce Saladino resta nella memoria almeno quanto quella del nostro. Per ciò che riguarda la memoria di Federico Barbarossa molto dobbiamo al monaco cistercense Ottone vescovo di Frisinga e anche suo zio materno…

Ottone racconta come la straordinaria figura del principe di Svevia sia segnato dalla Provvidenza divina nelle campagne contro i saraceni quando riporta che l’unica tenda a rimanere eretta dopo una tempesta devastante in Tracia fosse proprio quella di Federico. Il giovane duca, allora ventenne, è già il campione della crociata quando nei Balcani combatte presso Adrianopoli con valore e ferocia i predoni. Figlio del “losco” fratello di Corrado III di Hohenstaufen, il Barbarossa combatteva tra le migliaia di uomini inviati alla crociata da papa Eugenio III. Costui ha dietro sicuramente la spinta ideologica artatamente costruita da un cistercense, anzi è il caso di dirlo dal cistercense per antonomasia, Bernardo di Clairvaux. Con la bolla pontificia che porta il titolo Quantum praedecessores dal 1 marzo del 1146 i principi cristiani sono legittimati e benedetti a prendere le armi contro i turchi. Beneficiando dell’indulgenza plenaria, Luigi VII re di Francia e Corrado III re di Germania, quindi re dei romani e futuro imperatore, si imbarcano nella crociata insieme ai nobili rampolli di tutta Europa con dame al seguito. Tra di esse eccelle la regina di Francia Eleonora d’Acquitania, una splendida e vivace duchessa a cui s’attribuirà, in seguito, il fallimento dell’impresa poiché deconcentrò dalla guerra il marito per i suoi continui tradimenti. Bando alle ciance, la storia del Barbarossa s’incrocia con l’assetto geopolitico dell’Europa medievale due volte, egli infatti abbraccerà la causa della terza crociata brandendo la spada proprio contro il mitico Saladino. A Berlino è conservata una lettera del feroce sultano a Federico Barbarosssa a cui s’attribuisce l’indiscusso primato di aver inventato la propaganda di guerra.

La seconda adunata dell’esercito crociato avviene il 23 aprile 1189 a Ratisbona, tutto è cambiato, Federico alla guida dell’impresa opera sulla comunicazione diretta, cerca di coinvolgere direttamente i potenti che troverà sulla sua strada, insomma si prepara la via per arrivare più agevolmente possibile a destinazione. Nell’affresco di Würzburg si vede in basso sulle scale che salgono al trono del celebrante un turco sdraiato che ha perduto una tromba da battaglia, abbandonata da un lato, questo è un particolare dell’attività di crociato di Barbarossa. Certo nel quadro sono molti i particolari, alcuni calzanti, altri arbitrari, se non addirittura frutto del vezzo settecentesco del grande veneziano che l’ha dipinti, giocati tra le vesti e gli sbuffi d’un vento tanto puntuale quanto improbabile, tra gesti teatrali e gli sguardi di distinti spettatori come la damina in alto dietro la balaustra, sullo sfondo.

img_38_400Se per il Barbarossa Triunphans si è partiti da un affresco settecentesco per  l’imperatore tiranno, nemico delle libertà si deve arrivare al secolo successivo. L’Italia risorgimentale ha preso chiaramente spunto dalla sconfitta di Federico contro i comuni del Nord per attizzare la fiamma anti-asburgica, l’iconografia è quella di un Medioevo reinventato, fiabesco e melodrammatico, rivisitato in forme e luoghi,  con calzamaglie, atri muscosi e fori cadenti. Senza nulla togliere alla Battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi, l’iconografia fredericiana ha degli aspetti curiosi nella pittura tedesca del XIX secolo.

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