È morto Bialetti. Viva Bialetti!

Questa settimana è morto Renato Bialetti l’inventore della Moka, quindi, Viva Bialetti!

Non è un motto monarchico, bensì il riscontro doveroso del contributo che questo imprenditore ha dato alla formazione del cosiddetto “Made in Italy”. Bialetti ha di fatto contribuito alla creazione di un’ opera concettualmente rigorosa quanto un ready made duchampiano senza abbandonare la sua essenza di prodotto industriale, ha concettualizzato una forma senza abbandonare il design. La caffettiera di cui parlo, sia chiaro, non è quella che gorgoglia sui fornelli nelle nostre case, ma quella che è esposta al MoMa di New York, ossia Alfonso Bialetti, Moka Espress, alluminio e plastica, 21.3 x 18.7 x 11 cm, 1930. Alfonso, quindi, non Renato e l’anno esatto di realizzazione dovrebbe essere il ’33; ma noi ricordiamo oggi il figlio Renato poiché è lui che ha portato la Moka nel Made in Italy, anzi nel “Ready – Made in Italy”. Quel che Warhol ha fatto con la Campbell’s soup, Renato Bialetti ha fatto con la caffettiera, lanciandola come immagine mediatica ne ha mitizzato la macchina da caffè caricandola di significati simbolici. La ri-semantizzazione della moka è un processo che riqualifica l’oggetto oltre la funzione di macchina per il caffè, lo porta a rappresentare l’Italia domestica, quotidiana, mattutina o di fine pasto, positiva e confortante, trepidante o stanca, operosa o ristorata. La moka, due piramidi incastrate ai vetrici, è una clessidra che funziona al contrario, una signora scintillante ed elegante dal cappello col ciuffotto e con una manica neri, pronta a cantare arie profumate sui fornelli accesi. La moka resiste nel tempo, ed è proprio in questa sua resistenza la ragione per cui Bialetti vive, resiste alle cialde e alle variopinte cassette dall’occhio acceso che sembrano il minaccioso cervello elettronico del film di Kubrick. La moka sopravvive al cambiamento dell’assetto della cucina e rimane negli scaffali e, se manca la corrente elettrica, il caffè è comunque garantito. Sconfigge l’obsolescenza della forma con il suo prisma sfaccettato, metallico e prezioso, cavo come la corolla di un fiore il cui pistillo è pronto far sgorgare calda crema. Già, la caffettiera è una calda, minacciosa bomba per i bambini piccoli che ha forse per questo motivo avuto la peggio nel confronto sulla sicurezza con le nuove macchine a dischetti e pastiglie. La sua natura bollente la rende pericolosa, ma anche viva testimone del modernismo. La cialda è post-moderna, anonima, ci preclude il contatto con la materia, non ci fa sentire il legame col chicco originario, la polvere resta rinchiusa in una capsula anodina. Frutto di quell’ inesorabile spostamento dalla cucina della nonna allo show coocking, la cialda ha bisogno dell’asettico apparecchio del caffè, e questo ha bisogno del volto di Clooney mentre la Moka no. Il processo di mitizzazione della moka avvenne con la commercializzazione dell’invenzione di Alfonso Bialetti che il figlio “Re – nato” intraprese grazie anche alla sua faccia baffuta che prestò per i “caroselli” e per far da modello al personaggio di Paul Campani, “L’omino di baffi”. imgres-2 imgresQuesta è, in realtà, la moka del MoMa, un oggetto oscillante tra l’opera d’arte e il design dal momento che incarna un prototipo destinato alla produzione in serie e, al tempo stesso, sintetizza a suo modo una cultura, è antropologicamente rilevante quale testimonianza di usi e costumi di una popolazione. La evoca continuamente con il suo funzionamento che è la costante, nonostante una serie di variazioni di forma, nella deriva post – moderna dall’idea iniziale rigidamente funzionalista è diventata un archetipo.

La Moka, oggetto di design o ready-made in Italy, ha persino emancipato il caffè dalla connotazione regionale, dalla napoletanità, è una idea che funziona in due tempi, carica ed ebollizione, abolendo il rovesciamento ha cancellato quell’intermezzo manuale che la rendeva ancora simile a una pentola. La moka, infatti non è una caffettiera, ma una “macchina”, non è vero che molti la chiamano “macchinetta del caffè”? Questo stralcio di modernismo puro nell’era del digitale della scatola elettronica ha sconfinato nel nostro Secolo come immagine che mantiene la sua posizione di eroico funzionalismo, la sua narrazione di meccanismo semplice, la suggestione di un oggetto intramontabile.

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