Con il Piacere dopo 3000 anni gli Etruschi conquistano di nuovo Roma

L’America? Si, perché no, solo che bisogna prendere l’aereo, e poi quando loro hanno cominciato a mangiare e bere bene noi eravamo già sazi da due millenni: c’è poco feeling gastronomico con gli yankees, oh yes. La Cina? Mercato interessante, ma la cucina del Paese di mezzo è decisamente diversa da quella viterbese, che c’azzecca il Grechetto con il gelato fritto? Ci sarebbero la Germania e i Paesi del Nord Europa, ricchi e col palato da ammaestrare, ma chi è abituato al clima soave delle dolci colline di Tuscia te lo immagini a fare affari a meno quindici gradi?

Si gioca, ovvio, e benedetto sia l’export perché è certo che, come confessava un produttore a una degustazione alla storica enoteca Trimani di Roma (192 anni di attività) “all’estero pagano, il mercato interno invece soffre”. Oltre all’export, però, sia benedetto pure “Piacere etrusco”, l’evento della Camera di commercio di Viterbo – messo in piedi con Slow Food e il Touring Club – che ha promosso nella Capitale i prodotti tipici a marchio Tuscia Viterbese e il turismo enogastronomico. L’idea è semplice semplice, se vogliamo è un po’ l’uovo di Colombo (a proposito di America ed export di eccellenze italiane): a due passi da Viterbo – senza prendere l’aereo, con lo stesso clima, gli stessi gusti e oltretutto con radici storiche comuni ed intrecciate – c’è un mercato potenziale di circa 5 milioni di consumatori al giorno, tra residenti, turisti, pendolari, diplomatici, immigrati (regolari e non). E se una parte anche piccola di quel mercato iniziasse a comprare etrusco (che suona meglio di viterbese) farebbe la felicità di molte aziende. Non è che prima questo non si sapesse, ma mai era stata messa in piedi un’iniziativa di marketing mirato così importante.

“Piacere Etrusco” è stata una vera maratona del gusto, una sorta di festa itinerante tra enoteche e ristoranti romani dove poter gustare le specialità viterbesi. L’iniziativa è stata spalmata in dieci giorni, dal 22 novembre al 1 dicembre: ha preso il via al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, ha avuto il suo cuore pulsante a Testaccio, all’ex Mattatoio, e ha coinvolto molti locali della Capitale, dalla già citata “Trimani” all’enoteca Lucantoni, dai ristoranti del centro ad Eataly a Piramide. Erano presenti più di 30 aziende a marchio Tuscia Viterbese, e a farla da protagonisti sono stati l’olio e il vino, i formaggi, il pane, i salumi, le carni le nocciole. Due week end lunghi, insomma, all’insegna del mangiare e bere made in Tuscia. Sabati e domeniche, poi, alla,“Città dell’altra economia” (’ex Mattatoio) c’è stata anche una fiera dove poter comprare i prodotti “etruschi”, mentre quasi indimenticabile è stato l’appuntamento del 1° dicembre: laboratori del gusti e show cooking ad Eataly, con gli ospiti letteralmente deliziati.

Agli appuntamenti hanno partecipato in tanti: semplici cittadini, amanti della buona cucina, giornalisti di settore (anche americani, oh yes). Judi Edelchoff, che scrive per la guida Michelin Usa, così diceva con l’inconfondibile accento made in Usa: “Qualecosa ia conoscievo, ma questi prudotti mi stupisciono molto: deevo veenire per pruare tiutto e fare anche passigiate in fureste di castagne”. Nel frattempo pubblicherà di Viterbo su una delle Bibbie del gusto d’Oltreoceano, per la felicità tra gli altri di Roberto Trappolini, della cantina omonima, che ha molto apprezzato le parole della Edelchoff sul suo Cenereto (già presente tra l’altro sulle tavole Usa).

Ora dal mercato della Capitale si aspettano risposte, consci che la compenetrazione culturale (e culinaria) degli Etruschi a Roma è vecchia di quasi 3mila anni. Del resto i due Tarquini (Prisco e Superbo) più il vulcente Servio Tullio in pochi decenni trasformano il selvatico villaggio fondato da Romolo in una città ormai predisposta a conquistare il mondo. Per questo Titta Marini, insuperato poeta dialettale cornetano, poté scrivere che “quanno un Etrusco, disgraziatamente, s’aritrovava un fijo deficiente te lo sbatteva a Roma pe’ fa’ er re, con un branco di armiggeri, lacché, tassari, boia e clero. E così merda su merda se formò l’impero”. Ora però i campi di battaglia, gli strumenti di conquista e gli obiettivi sono altri.   Se vogliamo pure la guerra da vincere è più facile perché da sempre il Piacere (etrusco in questo caso, ma non necessariamente) ha fatto più vittime della spada.

Francesco Corsi

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